Emozioni e panorami. Cos’altro si chiede quando si va in vacanza? E, una volta tornati a casa? Non restano che ricordi e souvenir. Una mini torre Eiffel da Parigi, i magneti della famiglia reale da Londra, mulini a vento da Mykonos, la salamandra in ceramica variopinta che riproduce la scultura all’ingresso del Parc Guell di Gaudì da Barcellona: oggettini che simboleggiano, sintetizzandola, la tipicità d’un popolo. E a Taormina, Palermo, Siracusa e Messina? Possibile che ancora esistano negozi che (s)vendono l’immagine dell’isola con quei pupazzetti che raffigurano famigliole mafiose con tanto di coppola e lupara come souvenir de Sicile? Sì, è possibile. Ed è proprio per cercare di mettere un freno al dilagare d’un incivile sentire che il sindaco di Agrigento, Francesco Micciché, ha emesso un’ordinanza che vieta la vendita, da parte di chi gestisce negozi di souvenir, di oggetti e rappresentazioni rievocative old style della mafia e dei mafiosi.
«Un utilizzo assolutamente improprio dell’immagine della nostra isola – dice Patrizia Di Dio, vice presidente nazionale di Confcommercio con delega per la legalità e la sicurezza, vicepresidente di Federmoda Italia e presidente di Confcommercio Palermo – da cui dovremmo tutti prendere le distanze. Perché quella storia che ci svende per pochi spiccioli, veicolando un pericoloso messaggio per tutto il mondo, costituisce una minaccia non solo per il tessuto produttivo ma anche per la società civile e lo Stato che ha combattuto e continua a combattere la mafia. Una robaccia il cui accostamento continuo e costante con la Sicilia risulta deleterio per chi, invece, vorrebbe promuovere di questa terra la sua arte e la sua bellezza».
Certo, a ben guardare, in giro non s’è vista la statuina con le fattezze di Matteo Messina Denaro, boss catturato il 16 gennaio 2023 dopo quasi trent’anni di latitanza mentre imperversano ancora t – shirt, spillette e calamite con la faccia del contrariato Marlon Brando versione padrino (film). «Chi si impegna nella tutela della legalità – continua Di Dio – deve contrastare ogni legame con la criminalità non solo da un punto di vista materiale ma anche formale: il che significa non avallare anche le piccole cose, quelle che possono sembrare banali ma che banali non sono. Quello del pupazzetto panzuto con coppola e lupara offre uno stereotipo delle figure mafiose che risulta conciliante e ammiccante con l’ideologia mafiosa. Non so come sia possibile che non sia ancora nato un rigetto spontaneo verso questo trademark come fosse un vero marchio di fabbrica mafia che di essa diffonde un messaggio positivo. Come associazione portiamo avanti un codice deontologico ben chiaro che rigetta ogni forma che evochi o alluda alla criminalità organizzata: abbiamo lottato e continuiamo a farlo. Le vendite di questi souvenir contrastano con la serietà di chi la mafia l’ha combattuta a costo della vita e di chi, facendo il proprio dovere, continua a combatterla. Bisognerebbe costituirsi parte civile, scusi l’iperbole, contro chi continua a drogare l’immagine della nostra terra. Vorremmo che il nome della Sicilia sia accostato all’aggettivo wonderful e non più a quello di mafia, come accadeva fino a pochi anni fa. Credo sia giunto il tempo di dire basta a questo danno reputazionale. E bene ha fatto il sindaco di Agrigento a emettere l’ordinanza che vieta la vendita di oggetti che rappresentano la mafia come souvenir di Sicilia». Anche alla luce del fatto che nel 2025 la Città dei Templi sarà la Capitale italiana della Cultura.
Nella foto alcuni souvenir di mafia sull'isola di Stromboli
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