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Il viceministro Sisto al congresso Anm: «No allo scontro con le toghe, l’unica via è il dialogo»

«Il giudice deve essere un arbitro diverso da contendenti», ha detto nel corso del suo intervento al Teatro Massimo di Palermo

«Per collocare interesse generale al di sopra di quelli particolari, vi è una sola è unica via: il dialogo. La giustizia non deve essere terreno di scontro ma di contraddittorio tendente alla conciliazione». Lo ha detto il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, nel suo intervento di saluto in occasione del 36esimo congresso nazionale dell’Associazione nazionale magistrati, in corso al Teatro Massimo di Palermo.

«Tutto questo è possibile solo se rimane intatto il dna che l’articolo 104 riconosce a tutta la magistratura: autonomia e indipendenza. Nessuno potrà mai nemmeno immaginare, è nel pieno convincimento di questo governo, che possa esserci un disconoscimento di paternità rispetto a tali inviolabili prerogative. Il processo riformatore in corso si colloca esattamente nel solco di quanto indicato nella nostra Carta», ha concluso.

Secondo Sisto, «non va mai trascurato che l’unico destinatario degli interventi in tema di giustizia non può che essere il cittadino e dobbiamo chiederci tutti se il cittadino non abbia diritto di percepire una giustizia in cui il giudice, destinato a decidere sulla scorta delle proposte di sentenza delle parti, debba essere arbitro, naturalmente e per forza di cose, del tutto diverso dai contendenti. Non siamo così di fronte ad un intervento demolitorio, né dal punto di vista materiale e nemmeno sotto il profilo psicologico». Secondo il viceministro, «è utile ribadire, per diradare qualsiasi opacità, la piena consapevolezza del governo del decisivo ruolo dell’ordine giudiziario come tutore della stessa democrazia. Ma nelle dinamiche del dialogo costituzionalmente orientato è evidente che magistratura e Parlamento hanno compiti diversi, come hanno legittimazione diversa. Soltanto dal rispetto dell’uno nei confronti dell’altro, secondo i metri sopra ricordati, potrà essere tutelato quell'interesse della collettività che costituisce l’anima delle istituzioni. La giustizia non può e non deve essere terreno di scontro. Chi ne pagherebbe le conseguenze sarebbero solo e soltanto i consociati, i cittadini. Questo timore, che non esito a definire sacro, ci deve accompagnare in ogni scelta, in ogni comportamento, in ogni atto, nella quotidianità, perchè il legislatore e il magistrato, unitamente all’avvocato siano, senza tracimazioni, protagonisti secondo umanità, costituzione e confronto».

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