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Palermo, l'avvocato del candidato assolto e scarcerato dopo un anno e mezzo: «Nessuno potrà restituirgli i giorni passati dietro le sbarre»

Pietro Polizzi fu accusato di voto di scambio con la mafia, il tribunale lo ha giudicato non colpevole perché il fatto non sussiste

Pietro Polizzi

Una magra consolazione. Definisce così la sentenza di assoluzione nei confronti di Pietro Polizzi, il suo legale, l’avvocato Fabrizio Biondo: «Perché da innocente ha trascorso un anno e mezzo in carcere». Il fatto non sussiste: con questa formula la quarta sezione del tribunale di Palermo ha assolto giovedì 21 dicembre il boss dell’Uditore Agostino Sansone, Pietro Polizzi, candidato di Forza Italia alle elezioni comunali del 12 giugno 2022 e Manlio Porretto, persona ritenuta molto vicina a Sansone. L'accusa per i tre, finiti in cella (Polizzi e Porretto) e ai domiciliari (Sansone) a maggio dell’anno scorso e che ora sono stati rimessi in libertà, era di voto di scambio politico-mafioso.

La vicenda era finita al centro della campagna elettorale ed era stata oggetto di polemiche, anche sul presunto inquinamento della coalizione che sosteneva il candidato poi eletto sindaco, Roberto Lagalla. I giudici del collegio presieduto da Bruno Fasciana, a latere Daniela Vascellaro e Giangaspare Camerini, hanno accolto le tesi degli avvocati Franco Inzerillo, Fabrizio Biondo, Luigi Sambito, Nino e Sal Mormino, Francesco Riggio e oltre ad assolvere hanno ordinato l’immediata scarcerazione. «Ma per un anno e mezzo - dice l'avvocato Biondo - Polizzi è stato dietro le sbarre. Io ho preso la sua difesa all’inizio del dibattimento, quindi alcuni mesi dopo gli arresti: i tempi di per sé non sono stati lunghi, conoscendo quelli della giustizia, perché le indagini e il dibattimento devono essere fatti con molta attenzione, ma 18 mesi a casa o a piede libero sono una cosa, in carcere è tutta un'altra storia, per un'accusa infamante, di cui peraltro non si è colpevoli».

Polizzi si era candidato anche alle amministrative del 2017, ricevendo più di 600 voti con Uniti per Palermo (lista che sosteneva il candidato poi eletto sindaco Leoluca Orlando) e in passato era stato anche consigliere provinciale con l'Udc. Secondo l’accusa avrebbe fatto un patto con i boss dell’Uditore per recuperare numeri utili a garantirgli il successo alle elezioni. Da alcune intercettazioni era emerso come Polizzi avesse chiesto voti a Sansone (fratello dei costruttori che ospitarono Totò Riina nelle loro ville di via Bernini) in cambio della promessa di un interessamento a Riscossione Sicilia, dove lavorava lo stesso candidato, in favore di Porretto, sponsorizzato dal boss, per cancellare alcuni debiti col fisco. Un trojan installato nel telefonino di Sansone aveva captato alcune conversazioni tra l'anziano mafioso, il collaboratore Porretto e il candidato consigliere comunale Polizzi, che secondo i pm era «ben consapevole dello spessore mafioso dell'uomo d'onore che aveva di fronte». Sarebbe stato per questo fiducioso di poter ottenere un successo elettorale, anche grazie al doppio voto, consentito dalla preferenza di genere, e al tandem con Adelaide Mazzarino, moglie di Eusebio Dalì, vicedirettore dell'azienda siciliana trasporti: «Con mio zio Eusebio - diceva nelle intercettazioni Polizzi - ho fatto un sacco di cose, quando hai bisogno all'Ast...». Solo fumo, avevano sostenuto i difensori nel corso del dibattimento e ora hanno avuto ragione.

Se e quando la sentenza passerà in giudicato, sarà richiesta la riparazione per l’ingiusta detenzione: «Anche se sappiamo che questo - conclude Biondo - non basterà a convincere l’opinione pubblica della totale infondatezza dell’accusa. E nessuno potrà restituire a Polizzi il suo anno e mezzo di vita perduto».

 

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