La natura pubblica di Rap non può essere un dogma. Visto quello che è accaduto, sommato agli scarsi risultati di pulizia, il sindaco lancia l’aut aut: o si cambia registro o si muore e ci si rivolge ai privato. Non c’è alternativa.
Il disastro mediatico dopo l’inchiesta sui 101 furbetti, il disastro dei rendimenti aziendali, il disastro di Bellolampo, il disastro generale delle aziende partecipate manda su tutte le furie Roberto Lagalla. Che dice, ora basta.
Si sa che le società partecipate sono la palla al piede del Comune, addirittura rischiano di mandare a carte quarantotto il piano di riequilibrio per i loro bilanci instabili. Ma Lagalla va oltre e si chiede: «Ma come può essere competitiva un’azienda che costa al contribuente 120 milioni e dal riciclo riesce a recuperare meno di 1,9 milioni, cioè l’uno per cento? Come può essere competitiva una società che scopre che 101 suoi dipendenti si sottraggono a ogni forma di controllo e di dovere?».
Il primo cittadino è un fiume in piena, nella sala Martorana di Palazzo Comitini, temporanea sede del Consiglio, convocato originariamente per relazionare sugli incendi di questa estate che hanno messo a ferro e fuoco la città, non si lascia sfuggire l’occasione di commentare l’indagine che ancora una volta mette nell’occhio del ciclone la partecipata di piazzetta Cairoli. Ed è l’occasione per tirare una linea, quasi a volere lanciare un ultimatum. L’Aula rimane in silenzio mentre Lagalla snocciola dati drammatici. Soprattutto per la prospettiva aziendale.
«Io ho il massimo rispetto per la pubblica natura per un’attività, ma ancora di più per i cittadini - esordisce il sindaco -. Quindi quello che voglio dire è questo: o la Rap decide definitivamente di diventare azienda oppure non possiamo più andare avanti così. Non ci possiamo più permettere le scene degli anni passati. O c’è una inversione di tendenza oppure dovremmo ripensare la natura pubblica di Rap e di altre partecipate».
Fino a ora nessun amministratore si era spinto a tanto. nessuno, cioè, aveva apertamente chiarito la sua piena disponibilità a un braccio di ferro gigantesco pur di rimettere in carreggiata il sistema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. «Tutti qua hanno qualcosa da difendere - quasi urla Lagalla -, ma poi l’unica faccia esposta al ludibrio è quella del sindaco. Io so prendermi le mie responsabilità, ma non sono disponibile a fare la parte del pugile suonato».
Capisce, il primo cittadino, che sulla partita delle aziende si gioca il futuro della sua amministrazione. Il loro funzionamento determinerà il suo successo politico, insomma. Per cui non è più un tabù cominciare a parlare di privatizzazione di alcuni servizi. Il tutto mentre si sta predisponendo la delibera con cui si dovrà approvare una variazione di bilancio di 22 milioni da trasferire a Rap a compensazione degli extracosti sopportati negli anni scorsi. Su cui il sindaco dice: «Qua non discutiamo se darglieli o no - spiega il sindaco -. Si devono dare, certo, ha anche bisogno di personale perché l’organico è depauperato, ma a fronte di garanzie e di un tempo di verifica di queste partecipate». S’accalora Lagalla quando poi affonda i denti su un altro problema che riguarda non solo le aziende, ma anche il Comune: «Non è ammissibile che nell’indifferenza generale ci siano 500 delegati sindacali. Sono in questo numero - denuncia - così furbescamente riescono a evitare i trasferimenti. E intanto abbiamo uffici con tre persone e biblioteche costrette a chiudere nel pomeriggio, quando gli studenti dovrebbero usufruirne all’uscita da scuola». Racconta di un museo (la Gam) che sbiglietta in un anno solo 15mila euro; la biblioteca comunale ha meno di 30 utenti in mese (trenta!) a fronte di 12 impiegati in servizio ogni giorno.
Nel mirino di Lagalla ci sono anche i contratti con le società che «devono essere più flessibili». Ha indagato l’ex rettore sul funzionamento della macchina «e ho scoperto che i servizi si pagano a parte e il contratto di servizio a prescindere». E denuncia la fattura di 1500 euro per cambiare una lampadina «ma a fronte di questo, nessuno controlla quali sono invece quali sono quelle lampadine che dovevano essere cambiate per contratto e non è stato fatto e senza che mai ci sia stata una compensazione fra l’una e l’altra partita».
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