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Palermo, dopo il consuntivo la paralisi: il Consiglio comunale ostaggio del rimpasto

La seduta, convocata nella Sala Martorana, si è chiusa per mancanza del numero legale

Archiviata la «pratica» del bilancio consuntivo, al Comune di Palermo i nodi politici arrivano al pettine. E ieri, 22 settembre, se n'è avuta la prima dimostrazione. La seduta del Consiglio comunale è stata chiusa per mancanza del numero legale. Manco a dirsi, mancavano soprattutto gli uomini e le donne della maggioranza. A Sala Martorana, dove temporaneamente sono confinati i consiglieri per il restauro in corso di Palazzo delle Aquile, i gruppi presentavano molte assenze. Un liberi tutti che viene letto in una sola maniera: è il segnale per dire che prima di andare avanti bisogna procedere con il rimpasto della giunta. Non si riesce neanche a votare un debito fuori bilancio. Gianluca Inzerillo, capogruppo azzurro, stigmatizza: «Noi siamo presenti in 4 su 7, ma ci sono interi gruppi assenti», sottolinea.

Il sindaco, Roberto Lagalla, che fino a ora ha tenuto una linea da fermi tutti al grido di «prima il consuntivo», ora appare possibilista. All'Ansa ha risposto di non averci ancora pensato «lunedì, forse, se ne ricomincerà a parlare», ha spiegato. E ha chiarito: «Forza Italia dice di volere solo delle sostituzioni. E da quello partiremo. Tutti gli assessori sono importanti». A chi ha chiesto cosa farà se gli assessori Mineo e Pennino non usciranno dalla giunta, Lagalla risponde: «Potrei uscire io, no?». Evidentemente un paradosso, un'iperbole. Il primo cittadino non pensa di abbandonare il campo. Tuttavia, per lui, c'è un sentiero stretto davanti. Da un lato in questo momento, anche coi dossier aperti del Pnrr, non vorrebbe modificare le caselle. Ma si rende conto che la politica ha le sue regole. Nel caso specifico riguarda Forza Italia, che non gradisce più la presenza di Andrea Mineo e di Rosi Pennino, nominati a inizio sindacatura dall'allora coordinatore regionale azzurro Gianfranco Micciché, oggi non più in sella. Il nuovo potere reclama posizioni e il diritto a decidere poltrone e strapuntini.

Nel frattempo, Mineo ha fatto i bagagli ed è traslocato in Fratelli d'Italia, contando di mantenere il posto in giunta. In questo caso i meloniani passerebbero da 3 a 4 assessori, uno dei quali è il vicesindaco. Questo scenario sarebbe accettato dagli altri? «Noi ora attendiamo che dalle parole si passi ai fatti - dice Domenico Macchiarella, coordinatore provinciale azzurro -. Abbiamo rappresentato al sindaco l’intenzione di sostituire la delegazione. Non abbiamo parlato mai di rimpasto. Attendiamo che il sindaco faccia un passo, del resto le intese sulle quote non si possono toccare». Tutto facile? Per niente. Il ragionamento dei berlusconiani non fa una piega. Ma come si fa ad accontentarli (in ogni caso vogliono le deleghe che ha Mineo) senza innescare un pericoloso rimescolamento che rischierebbe di coinvolgere tutte le posizioni? Dall’entourage di Lagalla filtra una pacata irritazione: «Il caso Mineo non può restare nelle nostre mani». Come dire, non devono tirare la giacca al sindaco.

Nella foto il Consiglio comunale riunito nella sede provvisoria della Sala Martorana, a Palazzo Comitini

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