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Cuffaro: «Così ho fatto rinascere la Dc in Sicilia»

«Questa non è un’operazione di potere, ma di valori». L’ombra della condanna per mafia: «Ho sbagliato, ho pagato ma non rinuncio ai miei sogni. E alle Regionali prenderemo sei o sette deputati»

Totò Cuffaro, ex presidente della Regione

È tornata la Democrazia cristiana o è tornato Totò Cuffaro? O tutt'e due le cose? Rispondere a questa domanda è anche una delle chiavi per valutare il successo elettorale nei comuni della Sicilia della Balena bianca. In ogni paese dove domenica e lunedì scorsi si è votato con il proporzionale l'ex presidente della Regione Siciliana è riuscito a formare liste, ottenendo fra il 5 e il 10 per cento dei consensi. A Favara ha sfiorato l'11 per cento, insidiando di un soffio il primato di «DiventeràBellissima». In una delle piazze-simbolo, Caltagirone, il paese di don Luigi Sturzo, la diccì raduna il 6% ed entra in Consiglio, mentre il movimento del presidente Musumeci non raggiunge nemmeno il quorum e resta fuori.

Ma è tornata la Dc o è tornato Cuffaro?

Rilassato, maniche di camicia, nella sua casa palermitana straripante di mobili e oggetti, risponde così: «Diciamo che Cuffaro non poteva tornare senza la Dc. Se avessi voluto impegnarmi per un'altra formazione politica, non avrei cavato nulla. Ma c’è voglia di quel mondo lì. Ovunque vado a parlare la gente accorre: da quelli di 80 anni che si fanno scappare le lacrime a molti giovani che guardano al futuro. Questo accade non solo per la mia persona, ma perché si sono convinti che con la Dc sia ancora possibile esprimere un voto ideale».

L’elettorato sa che lei è condannato per mafia, ha fatto il carcere e la pena accessoria. E questo non le consente alcuna possibilità di ricoprire incarichi pubblici. Allora perché continuano a seguirla?

«Guardi, la Dc ha commesso molti errori e io di più, ma abbiamo pagato entrambi. Sono stato 1.758 giorni in carcere e la condanna l'ho scontata tutta. Sono onesto e dico che non sono certo uno che è andato in galera perché non aveva responsabilità. Detto questo, penso che né io né la diccì possiamo rinunciare alle nostre ragioni: riportare un sogno dentro la scheda elettorale ispirato a certi valori, alla dottrina sociale della chiesa, all'attenzione per i più deboli».

Si dirà che è sempre il cuffarismo che si rimette in moto. Del resto, come si fa a non sospettare che lei non stia rimettendo in piedi (o non lo abbia fatto già) un sistema collaudato di potere per tornare a pesare ai tavoli che contano?

«Nel passato ho perso un’occasione, è vero. Ma vi assicuro che di tutto il potere gestito, delle prebende distribuite, delle clientele coltivate non mi è rimasto nulla. Nulla. Sono tutti spariti. Non posso essere eletto, la mia testa è cambiata, l'idea di tornare a governare potere non mi solletica. Io con la gente parlo di politica però, di idee, di progetti, di valori. Altro non posso offrire».

Nei mesi scorsi c'è stato il tentativo di creare il grande centro senza coinvolgerla. Il «patto dei paccheri», l’hanno chiamato.

«Ho risposto che preferisco gli spaghetti e infatti i paccheri sono venuti male. Ora ci provo io a varare un'operazione centrista, ho l'ambizione di creare una forza di centro e stare con chi condivide valori e iniziative. Ma attenzione, non basta mettere insieme tre persone per avere successo. Il centro prima di ogni cosa lo chiedono gli elettori e noi dobbiamo creare il luogo, il rassemblement, verso dove possono confluire. E poi, diciamoci la verità, tutto ciò prima si deve sostanziare a Roma».

Cioè? Delinei uno scenario.

«Spero che Mattarella possa proseguire ancora al Quirinale perché ha lavorato benissimo e che Draghi rimanga alla guida del governo. Secondo me attorno a lui il nuovo centro può cominciare a costruirsi e ad assumere una fisionomia più precisa. Penso, infatti, che il modello Draghi sia ancora in fieri, in costruzione, e attorno a lui possa nascere un raggruppamento moderato a sostegno. Questa cosa si delineerà presto, con l'elezione del Presidente della Repubblica, a febbraio. Il fatto positivo è che il banco di prova di questa nuova esperienza in Sicilia saranno le amministrative. L'elezione del sindaco di Palermo sarà il primo importante e tutte le candidature fin qui proposte sono aria fritta, è troppo presto; e poi ci saranno le elezioni Regionali».

Lei anche in queste occasioni presenterà liste?

«Certamente. Pronostico che alle Regionali prenderemo più del 6 per cento, eleggendo sei o sette deputati. Non voglio candidare uscenti, ex parlamentari vecchi nomi anche con molti voti in dotazione. Servono forze fresche. Abbiamo capito che c'è un difetto di cultura politica e creato la scuola di formazione che ha avuto molto successo. Ai ragazzi ho sempre detto: il vostro modello deve essere il contrario di quello che sono stato io».

Basta cuffarismo?

«Il cuffarismo ormai ha lasciato posto al cuffaresimo».

Lei pensa, come Giancarlo Cancelleri, che il risultato elettorale suona come un avviso di sfratto per il presidente Musumeci?

«No. Ma è certo che la coalizione che sostiene il governo deve capire che cosa vuole fare. Francamente sembra acciaccata, mentre l'alleanza fra Pd e Cinquestelle sta funzionando».

A cosa tende il suo nuovo impegno in prima persona? Quali risultati intende conseguire?

«Nulla di personale. Io voglio solo rimettere in moto il meccanismo della Dc. Ma dico da subito che le Regionali saranno il mio ultimo atto, poi non sarà più compito mio. Io e mio figlio abbiamo già deciso: dopo le elezioni del presidente della Regione – e ribadisco che secondo me sono maturi i tempi perché sia proposta una donna - torneremo a fare i volontari in un ospedale del Burundi. Il mio percorso si chiuderà così».

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