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Rifiuti a Palermo, la Rap riduce la pretese ma non troppo: ora vuole un aumento di 31 milioni

Secondo il piano economico finanziario, il corrispettivo del contratto di servizio salirebbe da 113 a 144 milioni, a spese dei contribuenti

Giuseppe Todaro, presidente della Rap, in occasione della presentazione dei nuovi cassonetti

La Rap torna alla carica e batte cassa. L'azienda che gestisce la raccolta rifiuti a Palermo chiede un incremento del contratto di servizio, benché abbia cercato di ridimensionare le richieste di qualche settimana fa. Il piano economico finanziario (Pef) di metà gennaio formulava una «necessità» di 36 milioni supplementari rispetto al contratto di servizio. Era scoppiata la polemica e alla fine l’atto era stato ritirato per una riconsiderazione complessiva. Ma, a conti fatti, l’incartamento spedito a sindaco, direttore generale, assessore all’Ambiente e Srr non cambia di molto le carte in tavola. I ritocchi hanno consentito di elaborare un piano che, per stare in piedi, ha bisogno di ricevere dal socio unico un incremento di 31 milioni, Iva compresa, che porterebbe il costo del contratto di servizio da 113 a 144 milioni. Sostanzialmente con un aumento della tassa a carico dei cittadini di quasi il 30 per cento, il 28 per l’esattezza.

In questa fase il documento, che è bene dire essere alla fase di elaborazione e verifica, è tenuto molto riservato. L’impostazione del Pef cozza, apparentemente, con quanto l’Arera, l’autorità nazionale per la regolazione dell’energia, stabilisce in termini di incrementi, autorizzati fino a un massimo del 9,6 per cento rispetto all’ammontare del biennio precedente. Quindi è verosimile che tutta l’impalcatura, anche se dovesse reggere a un primo controllo, rischia poi di crollare non appena passerà alla validazione della Srr, la società di regolamentazione su base metropolitana.

C’è un’altra perversa condizione, nel caso di aumento della Tari. E cioè, siccome la media dell’evasione della tassa è del 50 per cento, la ragioneria generale si troverebbe costretta ad accantonare la metà dell'incremento (circa 16 milioni, da sottrarre da qualche parte nel bilancio) e destinarlo al fondo crediti di dubbia esigibilità.

Certo, il quadro generale dell’azienda non è facile. Stretta tra la necessità di uscire dall’angolo e trovare un migliore equilibrio sulle prestazioni offerte che, al momento, sono molto deficitarie. Servirebbero le assunzioni degli oltre trecento operatori dello spazzamento che, però, in mancanza di un piano industriale e di quello finanziario, rimangono bloccate.

L’ultima trimestrale è stata chiusa con un segno meno di 7 milioni e mezzo. Da qualche parte bisognerà trovare le toppe a queste perdite. Per questo il presidente, Giuseppe Todaro (col suo vice Edoardo Scarlata e l'altro componente, Patrizia Porrello) a gennaio aveva licenziato la delibera scrivendo che «il pieno e integrale accoglimento del Pef, così come predisposto, è condizione imprescindibile per garantire il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario» dell’azienda. Solamente che, la politica, potrebbe anche ammettere un innalzamento della tassa a carico dei cittadini, ma che sia di dimensioni contenute. Lo stesso sindaco, Roberto Lagalla, in quella occasione aveva detto chiaramente che «un aumento è prevedibile». Nella mente del primo cittadino, appunto, c’erano i paletti fissati da Arera al 9,6%, sufficienti a neutralizzare per esempio gli effetti dell’inflazione. Ma così siamo ben oltre. Peraltro, anche il livello reputazionale di Rap, con le strade mai pulite e i cassonetti che traboccano a ogni mal di pancia sindacale, non è ai massimi. E così, è difficile fare passare il concetto che serva potenziare la dotazione finanziaria del 30 per cento, prelevando il corrispettivo dalle tasche dei contribuenti, a un’azienda che spesso non raggiunge nemmeno la sufficienza in termini di efficienza.

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