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Il sogno di Nicola Fiasconaro: «I miei panettoni sulla 5th Avenue, a New York»

PALERMO. Gli occhi sono gli stessi di papà Mario. E dei fratelli, Fausto e Martino: neri, profondi, ridenti. Perché Nicola Fiasconaro è tutto in questi occhi, che arrivano sempre prima di lui, che ti prendono prima ancora che apra bocca. Poi, appena lo fa, è inarrestabile: la storia di famiglia viene snocciolata in poche righe, il resto è tutta passione.

Dolce passione perché si sa, Fiasconaro è sinonimo di panettone siciliano. E colomba, marmellate, rosoli, amaretti, torroncini. Che più siciliani non ce n’è. Perché se i Fiasconaro usano solo materie primissime – le mandorle di Avola, il cioccolato di Modica, gli agrumi di Ciaculli, le pesche di Bivona, le mele dell’Etna, la Malvasia di Lipari e il passito di Pantelleria. E la manna, questa sconosciuta, nostra signora di Castelbuono. Filiera corta, che parte e viaggia con loro in giro per il mondo. Perché se chiedi a Nicola qual è il suo sogno, sorride sornione e ti risponde che vorrebbe aprire un negozio sulla 5th Avenue, a New York. E che un giorno lo farà, magari mettendoci a lavorare figli e nipoti.

Ecco l'intervista pubblicata sul Giornale di Sicilia in edicola.

Nicola Fiasconaro, partiamo dall’inizio, dal 1953.

«Mio papà Mario si inventò il mestiere di pasticcere: aprì un bar in piazza Minà Palumbo, a Castelbuono e fu una grande novità per un paese che sgomitava dopo la guerra e una famiglia, la nostra, che era stata finora soltanto di pastori. Mario Fiasconaro proponeva dolci e gelati, che allora si facevano con le nevi delle Madonie. Dalle neviere ai paesi, a dorso di mulo».

Ma Mario Fiasconaro ha l’intuizione del cosiddetto «banchetto». Oggi si parlerebbe di catering.

«Sì, mio padre arrivava sempre prima di tutti: il banchetto per gli sposi, ma voleva solo i prodotti migliori. Vedeva lungo e noi ragazzini crescevamo osservandolo. I laboratori erano il nostro regno. Io volevo diventare chef e lui mi mandò a studiare. Di ritorno da uno stage, gli dissi che volevo produrre il panettone in Sicilia».

Uno choc?

«Probabilmente mi guardò strano, ma mi appoggiò. E io mi inventai il panettone siciliano, solo materie prima di questa nostra terra, tantissime ore di lievitazione. E paste acide e lievito madre, che è un po’ il nipote del nostro “crescente” , quello che le donne si passavano da una vanedda all’altra».

Perché il panettone Fiasconaro piace tanto?

«Perché è buono. È digeribile, è saporito. Perché dopo sei mesi – meno se si tratta di un prodotto alla frutta - un panettone Fiasconaro è ancora soffice. Ma soprattutto, è un panettone che sa attendere: è stata questa l’intuizione vincente. Serviva tempo e noi l’avevamo. La grande distribuzione non si può permettere tre giorni per fare un dolce: noi ad agosto cominciamo a impastare i panettoni e dopo natale, avviamo la produzione delle colombe. Prima i prodotti per l’estero, poi per l’Italia, poi per la Sicilia».

La lezione di papà Mario?

«Papà ci convocava e ci metteva davanti mucchietti di mandorle: assaggiate, diceva. E così scoprivamo che le qualità erano diverse ma ognuna aveva un valore, ma solo se siciliane. Le mandorle californiane non le sopportava proprio».

Oggi i tre fratelli Fiasconaro sono alla guida di un impero.

«Un milione di pezzi venduti dappertutto, e quest’anno chiuderemo con un 10 per cento di fatturato in più. Parliamo di circa un milione e 300 mila euro in più. Nei nostri laboratori lavorano 130 persone, la maggioranza donna perché sono convinto che la cucina e i dolci siano roba femminile, solo le donne hanno la dolcezza necessari. 130 oltre ai nostri figli: io ne ho due, Mario, che studia da chef ma ora è ritornato a Castelbuono, e Agata. Mio fratello Fausto guida e tiene le redini dei punti vendita; mentre Martino è l’uomo dei conti: ognuno ha una figlia, Agata. Insomma, tre figliole che portano il nome della nostra mamma, morta quando eravamo piccoli. Siamo stati cresciuti con amore dalla seconda moglie di papà che ci ha trattati come suoi figli».

Centotrenta persone a cui date un lavoro.

«Con l’indotto siamo molti di più, senza contare tutti i ragazzi che ogni anno arrivano a Castelbuono per seguire stage o scrivere tesi di laurea».

Insieme, si può.

«Si deve. Solo facendo cartello, si può arrivare in alto. Nel 2020 completeremo i nuovi laboratori, nell’area ex Sirap, sempre a Castelbuono: sarà una grande area completa di tutto. E poi i negozi monomarca: arriveremo sulla 5th Avenue».

 

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