La stima delle opere rubate dai nazisti alle famiglie ebree, da sinagoghe, musei e chiese di tutta Europa, assomma a circa 100 mila unità, alle quali vanno aggiunte quelle disperse a causa dei bombardamenti alleati; tra queste figura anche la prima versione «rifiutata» del San Matteo e l’Angelo di Michelangelo Merisi, probabilmente bruciata a Berlino, se non addirittura rubata silenziosamente dai russi. «Silenziosamente» e «rubata» sono due delle parole chiave descrittive del furto della natività palermitana.
Opere titaniche, quelle che Caravaggio ebbe a comporre nel breve arco temporale di un quindicennio di pratica pittorica e vita cruenta; lui, criticamente votato a sublimare la pienezza iconografica delle direttive controriformiste del Concilio di Trento, entrate nel Dna artistico del lombardo attraverso l’influenza di Carlo Borromeo e del suo neo-pauperismo profuso nel rinnovamento di una Chiesa da votare per intero alla «bellezza per la semplicità». Lui, Caravaggio, operava il tentativo di mettere all’angolo le eresie luterane da un lato e scrivere un rinnovato patto tra fedeli e Divino, dove povertà e umiltà non fossero più «pesti» bensì «opportunità» di individuale riscatto eterno.
Caravaggio, giunto a Roma dopo aver studiato pittura con Simone da Peterzano, trova ospitalità a Palazzo Madama, odierna sede del Senato e allora magione del potente Cardinal Dal Monte, che ne diviene mecenate e sponsor nell’esclusivo ambiente romano. È qui che riceve i prestigiosi incarichi per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi; pale d’altare imponenti da «immaginare» attorno alla figura dell’evangelista Matteo, innovative e mature da «maestro» per il qual ruolo egli sembra non proprio esser nato, ed è ancora qui che nel 1600 nasce l’unicità sintattica della Natività cum figuris che, pochi mesi dopo la definizione, giungerà attraverso il mercante senese Fabio Nuti a Palermo, all’Oratorio - poi serpottiano - di San Lorenzo.
In quel momento Caravaggio è già «il Barocco» in pittura a tal punto da lasciare una Scuola di «caravaggeschi» senza averla mai formata e la Natività diviene il «seme siciliano» dal quale nasceranno future germinazioni e influenze dirette a sedurre l’arte di Filippo Paladini, Jusepe da Ribera e Pietro Novelli. Grazie a Michele Cuppone, che ne ha recentemente ricostruito i salienti, sappiamo che la splendida Natività di cm 268 x 197 con i santi Lorenzo e Francesco, è una tela «romana» e non siciliana, come si pensava ancora nell’estate del 1969, quando la trasmissione Rai Capolavori nascosti ne disvelava al grande pubblico tutta la bellezza, compresa la localizzazione nel centro storico di una città divisa tra l’abbandono e il pieno dominio di Cosa nostra.
Sia stato o meno l’«appetito televisivo» a stuzzicare fantasie malsane, pochi mesi dopo, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre di 55 anni fa, l’oratorio è violato mentre fuori diluvia e nel silenzio di una Sin city surreale, l’opera d’arte più importante di Sicilia fa perdere le proprie tracce. Due sgherri usano un taglierino, avvolgono l’opera in un tappeto e caricato il tutto spariscono nel tintinnio della pioggia battente. Prima tappa è la ghiacciaia Vernengo al Ponte Ammiraglio; poi nascondigli prossimi alla chiesa di San Ciro e le tenute dei capimafia Bontade e Badalamenti, da dove - forse dentro un camion di frutta - il quadro viene recapitato a un fantomatico mercante elvetico, comunque sparendo dall’Italia.
Più nulla per cinquant’anni fino a quando lo straordinario lavoro del Nucleo tutela artistica dei carabinieri stringe il «cerchio del male» donando speranza.
La nostra Natività «bella come la bellezza» è divenuta la pratica numero 799, l’opera most wanted dell’Interpol; il quadro più conosciuto di Caravaggio è al tempo stesso quello meno visto e vissuto dal pubblico. Rogatorie seguite alle risultanze del lavoro della commissione parlamentare Antimafia e rivolte al «paradiso svizzero» non hanno sortito effetti, malgrado i pentiti Francesco Marino Mannoia e Gaetano Grado abbiano fornito attendibili riscontri convergenti.
Cosa fare allora? Può, forse, una «lettera aperta» a prima firma del sindaco Roberto Lagalla, di intellettuali e studiosi, personalità del mondo della cultura e cittadini speranzosi, da indirizzare tramite l’ambasciata all’omologo svizzero del nostro ministro della Cultura, provare a sortire qualche effetto empatico non ancora messo in moto? Palermo attende da troppo tempo verità e giustizia su molti fronti - dalle stragi ai depistaggi - il ritorno del Caravaggio rubato sarebbe un atto di giustizia e di cultura, ma soprattutto di fede, ancorato al primato universale del concetto cristiano di speranza.
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