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Palermo, Turandot nella Pechino del 2070: parte la stagione del Massimo alla presenza di Casellati

Il sipario di Giuseppe Sciuti, quello del 1897, voluto da Giovan Battista ed Ernesto Basile, è tornato al suo posto, restaurato, davanti al tutto esaurito per l'inaugurazione della stagione 2019 del Teatro Massimo di Palermo. E dal passato luminoso si va verso un futuro pieno di invenzione, quello di "Turandot" ambientata nella Pechino del 2070, coloratissima, dove i palazzi sono draghi che volano, e persino i personaggi possono moltiplicarsi come fossero caduti in uno specchio. Spade laser, guardie robotiche, lo spettacolo è un fantasy, ma anche frutto di studio severo.

Il teatro ha ospitato il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, in visita a Palermo per due giorni. La regia di Fabio Cherstich, le scene, i video e i costumi dei videomaker russi Aes+F, tengono ben conto del fatto che non c'è favola che non si confronti con la natura e non c'è principessa che non abbia abitato il bosco. E qui la natura, i giardini, i fiori, le cascate di rose, le primule che volano sono parte integrante dei video, su tre schermi giganti che fanno da scena all'ultima opera di Puccini. Ma non mancano le scene di violenza, le teste mozzate dei principi che hanno osato chiedere la mano di Turandot.

Siamo di fronte a un connubio tra il canto dell'ultimo Puccini, e il cinema. La cifra dell'allestimento è data dal lavoro dei videomaker Aes+F, con i costumi che definiscono i personaggi. Turandot diventa così il pretesto per mettere a fuoco il personaggio del principe Calaf, un esule, un rifugiato politico. La schiava Liù (in scena Valeria Sepe) veste i panni di una crocerossina, mentre il principe Calaf è simile a Rambo, guerriero che deve sopravvivere e ora chiede in sposa Turandot, figlia dell'imperatore della Cina, interpretata dal soprano ucraino Tatiana Melnychenko.

Sul podio Gabriele Ferro si è concentrato sul perfetto equilibrio tra una partitura modernissima e la melodia inconfondibile del maestro di Lucca, con un lavoro delicatissimo per concertare le voci, il coro onnipresente e il complesso gioco d'immagini.

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