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Palermo, oro rubato riciclato dai boss: 33 condanne

Gli inquirenti hanno accertato l'esistenza di un sistema illecito che esercitava un capillare controllo sulle attività di riciclaggio e ricettazione dei metalli preziosi che arrivava dal circuito criminale

Il tribunale di Palermo ha condannato 33 persone a pene comprese tra i 3 e i 24 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, ricilaggio, estorsione, false fatture e ricettazione. Le condanne più pensanti sono state inflitte a Francesco Luca e ai i figli Rosario e Vincenzo. Il processo nasce da una indagine della Finanza, coordinata dalla dda, che portò a 5 arresti e al sequestro di 5 imprese del settore del commercio dell’oro e di somme di denaro, oro, beni mobili registrati, immobili e aziende nella disponibilità di 27 indagati per 5 milioni.

L'inchiesta nacque da alcune segnalazioni di operazioni sospette e dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che permisero di scoprire un maxi riciclaggio di oro messo in atto da una società palermitana che, sulla base delle direttive impartite dal mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo, avrebbe agito da collettore di grandi quantità del prezioso materiale raccolto da ladri, rapinatori e ricettatori.

Gli inquirenti accertarono l'esistenza di un sistema illecito che esercitava un capillare controllo sulle attività di riciclaggio e ricettazione dei metalli preziosi che arrivava dal circuito criminale.

La società , che sarebbe stata finanziata sul nascere dall’allora reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, nel triennio 2016-2018, ha dichiarato operazioni di cessione di oro per oltre 2,19 tonnellate, per un controvalore di oltre 75 milioni di euro. In particolare, in base agli elementi raccolti dai finanzieri, sarebbe emerso che, in una prima fase, il metallo prezioso sarebbe stato sottoposto ad un processo di fusione per essere poi ceduto ad altri operatori del settore sotto forma di lingotti. Per ridurre i rischi e dare una parvenza di legalità alle grandi quantità di oro movimentato, gli imprenditori si sarebbero serviti di «compro oro», rispetto ai quali sarebbero emersi gravi indizi di reato in ordine all’emissione di false fatture di vendita.

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