
Il nome di Giuseppe Cangemi, il cognato di 62 anni che ha confessato di avere ucciso Stefano Gaglio, 39 anni, magazziniere della farmacia Sacro Cuore, compare anche nelle carte della maxi operazione dei carabinieri che a febbraio ha portato a 181 arresti. Le intercettazioni raccontano di incontri di alcuni esponenti del mandamento di Porta Nuova che avvenivano nel minimarket nel cuore della Kalsa di proprietà della sua famiglia.
Cangemi, per questo episodio, non è indagato ma lì, tra scaffali e clienti, si sarebbero svolti alcuni appuntamenti di boss e gregari tra cui spicca il nome di Francolino Spadaro: in quell'occasione i telefoni vennero lasciati all'esterno per evitare che le conversazioni potessero essere captate dalle forze dell'ordine. Cangemi inoltre è sotto processo con decine di imputati per una presunta truffa sulle auto di lusso, rubate a Napoli e rivendute a Palermo, con in più le richieste di risarcimento alle assicurazioni.
Ieri Cangemi ha confessato di aver premuto il grilletto: lo ha fatto in via Oberdan proprio davanti alla farmacia dove lavorava Gaglio per poi consegnare alla Squadra mobile la pistola usata per il delitto. Ha raccontato di aver trovato l'arma in un cassonetto un anno e mezzo fa e di averla custodita nel magazzino della Rap, l’azienda dove lavorava come operaio. Una giustificazione che gli investigatori ritengono poco credibile, soprattutto perché la matricola era stata abrasa.
Durante l’interrogatorio, Cangemi ha mostrato lucidità solo a tratti. Ha ammesso l'omicidio ma quando i magistrati gli hanno chiesto il perché, le risposte sono diventate confuse, segnate da momenti di nervosismo e apparente smarrimento. Non è ancora chiaro se si tratti di una reale instabilità psichica o di una messinscena per attenuare le sue responsabilità. «Al lavoro non ha mai creato alcun problema. Certo era un carattere forte che si sapeva fare rispettare. Se avesse problemi psichici non ce ne siamo accorti». I colleghi della Rap hanno descritto così Cangemi: il dipendente proviene dal bacino Amia Essemme ed era impegnato nello svuotamento dei cestini in città.
Per l’avvocato Salvino Pantuso, che difende Cangemi, il delitto sarebbe senza movente. Gli investigatori invece guardano dentro le dinamiche familiari, fatte di rancori e questioni economiche mai risolte. Al centro ci sarebbe una villetta di Carini donata dal padre alla moglie della vittima, un’eredità che avrebbe provocato tensioni e risentimenti. Si parla anche di un altro immobile di proprietà di Cangemi, con passaggi poco chiari che sarebbero stati rivelati proprio da Gaglio che veniva accusato dal presunto assassino di averlo messo contro i figli, alimentando un clima già incandescente.
Come se non bastasse, pochi giorni prima della tragedia, Cangemi aveva denunciato che alcuni colpi d’arma da fuoco erano stati sparati contro la sua abitazione alla Kalsa ma gli inquirenti ritengono poco credibile anche questo episodio.
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