
Ha detto di no al pizzo dopo avere tentato di trovare la protezione della mafia. Non c’è riuscito e allora ha scelto lo Stato, rivolgendosi ai carabinieri e facendo arrestare i due che avevano tentato di estorcergli denaro. Così i militari del Comando provinciale hanno eseguito un’ordinanza di custodia in carcere nei confronti di Filippo Bruno, 35 anni, e Francesco Capizzi, 34, entrambi pregiudicati e già noti per rapine e violenze.
L’accusa è di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il provvedimento, firmato dal Gip Claudia Rosini su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, descrive con precisione un piano estorsivo portato avanti con modalità tipiche di Cosa nostra. La vittima è il titolare di un’officina che si occupa di pneumatici e che segue anche altre attività, tra cui la gestione di un parcheggio: l’uomo il mese scorso si è trovato sottoposto a pressioni continue, richieste di denaro e minacce sempre più esplicite, fino a subire un’aggressione fisica.
Le richieste del clan
Il copione era chiaro: 1.500 euro al mese da consegnare «per la famiglia nostra». In alternativa, un versamento in un’unica soluzione di 15 mila euro oppure, ancora, l’imposizione di un uomo di fiducia degli estorsori dentro la società. Una sorta di «socio forzato», pronto a controllare affari e incassi. Diversamente, l’unica opzione sarebbe stata chiudere l’officina. Il primo luglio scorso, racconta Zappulla, fu chiamato d’urgenza da un suo dipendente e, una volta arrivato all’officina, nella zona di Ponte dell’Ammiraglio, trovò Bruno e altri uomini ad aspettarlo. Lì partì il primo avvertimento: «Da questo mese devi versare 1.500 euro per la famiglia nostra». L’imprenditore cercò di prendere tempo, ma la macchina delle pressioni si era ormai messa in moto.
La presenza di Capizzi
Accanto a Bruno c’era sempre Capizzi, conosciuto come Bicicletta. Lui avrebbe sostenuto le pretese del complice. In un’occasione, davanti all’imprenditore esitante, rincarò la dose: «Dacci una mano, c’è bisogno». La frase, annota il giudice, dimostra la piena consapevolezza del suo ruolo nell’estorsione, non solo come presenza silenziosa ma come parte attiva della minaccia.
Le riunioni e le botte
Nei giorni successivi Zappulla fu convocato più volte, anche in presenza di gruppi di otto persone, a bordo di scooter che arrivavano davanti all’officina. Scene pensate per incutere paura, con gli uomini che lo seguivano a distanza, muti ma schierati a sostegno di Bruno e Capizzi. Il 9 luglio Bruno gli propose una soluzione alternativa: niente soldi, ma l’inserimento di un loro uomo in società. Al rifiuto dell’imprenditore, la risposta fu glaciale: «Vabbè, allora te la vedi con lui. Te lo dice lui cosa devi fare».
Un servizio completo di Michele Giuliano sull'edizione del Giornale di Sicilia in edicola oggi

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