
Temevano di perdere l’unica fonte di reddito ma alla fine hanno parlato. A denunciare le loro durissime condizioni di lavoro, permettendo alla guardia di finanza di avviare l’inchiesta sul caporalato in undici negozi tra la provincia di Palermo e Trapani, sono state soprattutto le donne.
A vuotare il sacco sedici tra commesse e addette alla sistemazione delle merce e alle pulizie, insieme a due uomini, tra cui un magazziniere e un altro dipendente. Le voci sono emerse grazie alle conversazioni telefoniche e alle chat di gruppo interne intercettate dagli investigatori in cui le lavoratrici si sfogavano tra loro o con i familiari.
«Mi dà il pane tutti i giorni ed io non lo posso tradire, mi capisci…», confessava una delle lavoratrici a una collega descrivendo la rassegnazione di chi accetta qualsiasi sacrificio pur di non restare disoccupato.
La paura di non trovare altro lavoro era infatti un freno davvero potente: «Ma io penso ai miei genitori. Se tu fai questo non troverai più lavoro», era convinta una delle ragazze che dovevano stare in sala a contatto con i clienti. «Ho una situazione a casa che non posso rischiare», era stata invece la giustificazione di un’altra delle impiegate di uno dei punti vendita del gruppo. Poi, la svolta: una dipendente insisteva con l’amica. «Per questo ti ho detto vieni con me, non perché io ho bisogno di coraggio ma perché è la cosa giusta, tanto lui non lo saprà mai…», diceva, incoraggiandola ad andare dalle forze dell’ordine.
«Parliamo, sarà un segreto, ti prego, ti prego», continuava. E poi la rassicurava.
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