
Il Gup del tribunale di Palermo ha condannato otto imputati del processo di mafia denominato «Metus» (paura, timore), riguardante i clan delle zone di Partanna Mondello, Sferracavallo, Acquasanta e Arenella, borgate marinare del capoluogo siciliano. La pena più alta, 16 anni, è toccata al boss. Michele Micalizzi, di 75 anni. Lui, genero del capomafia Rosario Riccobono (ucciso nel 1982), era tornato in libertà nel 2020 dopo una lunga detenzione e avrebbe ripreso in mano le redini del clan, occupandosi di organizzare le estorsioni ai danni dei ristoranti di Mondello e Sferracavallo: era così stato arrestato una prima volta nel 2022 e l’anno scorso era scattata un’altra misura cautelare, perchè dopo i ristoranti avrebbe curato le estorsioni e la gestione di due note gelaterie di Mondello, Brioscià e Sharbat. Nel processo, celebrato col rito abbreviato, dunque con sconti di pena di un terzo, condannati pure Rosario Gennaro, che ha avuto 14 anni e 6 mesi; Domenico Caviglia 12 anni e 6 mesi; dieci anni a Gianluca Spanu; 5 e 10 mesi a Carmelo Cusimano; 5 e 4 mesi a Matteo Pandolfo; infine 4 anni a Francesco Nappa e 3 anni e 4 mesi a Giuseppe Guida.
Sul fronte dei proscioglimenti e delle assoluzioni, Vincenzo Garofalo e il figlio di Micalizzi, Giuseppe, si sono visti riqualificare una tentata estorsione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni e per questo è stato dichiarato il non doversi procedere per mancanza di querela. L’unico assolto perchè il fatto non sussiste è stato Gioacchino Randazzo. In ordinario sono andati Amedeo Romeo, Gaetana Mulieddo e Ivan Meli. L’indagine era nata dalla denuncia di un ristoratore, sostenuto da Addiopizzo. «Nel processo - commenta in una nota l’associazione antiracket - è risultata determinante la costituzione di parte civile della nostra associazione e quella dell’unico commerciante che ha deciso di partecipare al processo».
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