La svolta nelle indagini sugli esecutori materiali dell’omicidio di Piersanti Mattarella segna con un cambio di passo il 45° anniversario del delitto. E risponde all’auspicio espresso da tempo dai familiari dell’ex presidente della Regione di «pervenire ad una verità completa sulle dinamiche che portarono alla sua morte. Contro la sua azione riformatrice si scagliò non solo Cosa Nostra, ma un più ampio sistema di potere politico-criminale, composto anche da pezzi deviati delle istituzioni». Già due anni fa i parenti dell’esponente democristiano assassinato dal Cosa nostra avevano espresso la speranza che la riapertura delle indagini potesse apportare un contributo concreto verso la scoperta della verità e l’iscrizione nel registro degli indagati dei killer di mafia Nino Madonia e Giuseppe Lucchese (il primo indicato come colui che sparò, l’altro come l’autista del commando) sembra rappresentare un nuovo importante passaggio nell’inchiesta coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella.
Il nome di Nino Madonia - in carcere da anni per via di diversi ergastoli, così come Lucchese - come possibile killer del presidente che immaginava una Sicilia con le carte in regola circolava da anni e, al di là delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, lo aveva fatto apertamente l’avvocato Fabio Repici al processo per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto del 1989. Il legale dei familiari del poliziotto assassinato aveva indicato nel boss di San Lorenzo Nino Madonia il presunto killer di Piersanti Mattarella. «Nino Madonia, killer di Nino Agostino e di sua moglie, è anche il killer di Piersanti Mattarella. Un delitto per il quale non è mai stato processato - aveva affermato Fabio Repici -. Non è certo una mia conclusione, semmai quella dei giudici della Corte d’assise di appello che nel 1998 assolsero Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini dall’omicidio Mattarella. Nelle motivazioni della sentenza si parla delle schede antropometriche di Madonia e Fioravanti che vennero valutate dai giudici, i due si somigliano molto, ma il vero sicario è Madonia e non il neofascista». E proprio la somiglianza tra i due è al centro degli sviluppi degli accertamenti investigativi, che hanno fatto emergere nuovi dettagli sull’agguato del 6 febbraio del 1980 in via Libertà, dove furono usate due pistole. La prima si inceppò dopo avere esploso quattro colpi e il killer corse a prenderne un’altra nell’auto d’appoggio.
L’agguato segnò la fine di un percorso di rinnovamento portato avanti da uno dei più illuminati esponenti della Dc in un’epoca in cui la Sicilia era oppressa da un sistema politico-affaristico-mafioso pronto a sopprimere con la violenza ogni tentativo di cambiamento. Sull’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio, le indagini e i processi si sono fermati al livello dei mandanti all’interno di Cosa nostra ma la ricerca dei magistrati non si è fermata e l’inchiesta della Dda palermitana adesso ha portato a nuovi risultati. Le prima condanne per il delitto Mattarella arrivarono circa 15 anni dopo l’agguato, con gli ergastoli inflitti a Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, accusati di essere i mandanti. Dal processo emerse come Mattarella voleva portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale e per questo aveva iniziato a contrastare Vito Ciancimino, referente politico del clan dei corleonesi. Ma il suo progetto politico e il sogno di una Regione con le carte in regola vennero fermati per sempre a colpi di pistola.
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