«Da figlia ritengo che mio padre sia stato oltraggiato anche da morto. E non lo meritava. Perché più va vanti questa storia, più ci rendiamo conto di quanto le indagini siano state condotte male e quanto questo depistaggio sia riuscito in fondo, perché ci stanno volendo 32 anni a probabilmente non saranno soltanto 32 anni per riuscire quantomeno a fare una ricostruzione storica di quel periodo così buio». Così Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso in via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio 1992, insieme a cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, in un’intervista in esclusiva a Rita Pedditzi per il programma «Inviato Speciale», su Radio 1 Rai.
«Nei primi tempi abbiamo veramente deposto tutta la nostra fiducia sulle istituzioni perché ritenevamo e siamo tuttora convinti che difronte ad eccidi di questo genere l’intero Stato italiano deve indignarsi, non può rimanere inerme: deve mettere in atto tutte le sue forze migliori per riuscire a capire quello che realmente è successo a distanza di soli 57 giorni dalla strage di Capaci. Eppure dopo 32 anni abbiamo assistito a uno scempio della verità perché quello che poi si è configurato come il depistaggio più grave della storia della nostra Repubblica, in realtà è tuttora in atto e non siamo ancora nelle condizioni di poter capire quello che è realmente successo». Infine un ricordo del padre: «Mio papà è la persona che mi ha dato l’amore più grande e incondizionato che io potessi ricevere. La cosa che posso dire di lui è che ci diceva "grazie", così come lo diceva anche a mia nonna. Pensare che un padre dica grazie ai propri figli è qualcosa di straordinario e il che significa che era un uomo che aveva perfettamente la consapevolezza dei propri limiti, che era un uomo umile e che tutto avrebbe immaginato, tranne che dovere assurgere a persona straordinaria per il semplice fatto di avere fatto il suo dovere».
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