Giorgio Scimeca è stato il primo commerciante ad aderire ad Addiopizzo, anche se, già prima di incontrare i fondatori del movimento, aveva denunciato il suo estorsore, poi condannato e mandato in carcere. Una scelta pagata inizialmente con la solitudine: a Caccamo nessuno aveva più frequentato il suo pub con sala giochi, così si erano accumulati lo stress e i debiti fino ad arrivare alla soglia del fallimento. La mamma e la sorella lo avevano convinto a rivolgersi all’associazione e i volontari erano arrivati per aiutarlo a tenere in vita la sua attività: «Ogni fine settimana riempivano il locale con i loro amici. Abbiamo organizzato anche una grande festa grazie alla quale mi sono risollevato economicamente. Da lì è partita la mia rinascita».
Oggi Scimeca è titolare di un bar-pasticceria «con 12 dipendenti e con un fatturato che cresce ogni anno grazie ai nostri prodotti dolciari che spediamo in tutto il mondo». Giorgio aveva aperto nel 2001, ma tre anni dopo era entrato un pregiudicato, conosciuto da tutti in paese per precedenti storie legate al pizzo. Inizialmente lo aveva assecondato, poi aveva troncato ogni rapporto: per alcuni mesi l’uomo era scomparso, poi si era ripresentato stavolta per ottenere la cosiddetta messa a posto: «Mi ha detto che a Palermo c’erano persone di un certo spessore che si erano accorte che il mio pub andava bene. Gente con cui non bisognava scherzare a cui lui aveva regalato 500 euro per proteggermi ma avrei dovuto ridargli queste somme altrimenti il locale sarebbe potuto saltare in aria».
La sera stessa, dopo avere parlato con la sua famiglia, Scimeca aveva raccontato tutto i carabinieri, i quali avevano organizzato una trappola e l’esattore era stato arrestato mentre riceveva le banconote. Sotto processo era finito anche uno zio che aveva cercato di farlo ritrattare: «Come imprenditore - è ancora Giorgio a parlare - aveva ricevuto favori dai mafiosi e per ricambiare doveva convincermi a cambiare versione. Non c’è riuscito e ora con i miei cugini non parlo più. Mia mamma, anche se ha la quinta elementare, ci ha insegnato i veri valori e ad essere dalla parte dello Stato: è stata lei a portarci ai funerali dei giudici Falcone e Borsellino e sempre lei, assieme a mia sorella, mi ha spinto a schierarmi con Addiopizzo».
Giorgio Scimeca
Storia diversa, ma stessa voglia di riscatto quella dei fratelli Cottone, titolari a Palermo de La Braciera di via Resuttana e di Villa Lampedusa in via dei Quartieri. Anche loro, dal 1999 al 2016, si sono piegati alle estorsioni, sborsando prima sei milioni all’anno, trasformati poi in 3 mila euro e infine in mille e 500 da versare in due rate dopo avere chiesto uno sconto al boss di Resuttana, Giovanni Niosi: «Ma quando era stato arrestato, nel 2005, i mafiosi si erano dimenticati di noi per due anni - ha spiegato Roberto Cottone - ad ogni retata le richieste di pizzo si fermavano e riprendevano non appena la cosca si riorganizzava». La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era caduta una sera del 2016: Sergio Macaluso e Domenico Mammi, mafiosi e oggi pentiti, si presentarono nel locale di via Resuttana: «Ordinarono una pizza margherita e mi chiamarono, avvertendomi di cercare un amico e di mettermi a posto». I Cottone allora fermarono la Smart su cui i due erano saliti e chiamarono la polizia: «Bloccammo il traffico assieme ad altre persone - ha ricordato Roberto -, loro avevano paura che la gente potesse linciarli». Macaluso e il suo braccio destro Mammi furono arrestati ma il coraggio dei Cottone ha permesso di aprire uno squarcio molto più ampio nella loro vita svelando vent’anni di pizzo. «All’inizio eravamo soli - conclude Roberto - poi abbiamo capito che c’era Addiopizzo».
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