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Il comando generale dei carabinieri: «Vicinanza a Mori, ha reso lustro all'Arma»

La nota arriva dopo numerosi altri interventi a favore dell'ex comandante del Ros, accusato dalla procura di Firenze per le stragi del 1993. Il ministro della Difesa Crosetto: «Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni»

«Nel pieno rispetto del lavoro dell’autorità giudiziaria, l’Arma dei Carabinieri esprime la sua vicinanza nei confronti di un ufficiale che, con il suo servizio, ha reso lustro all’istituzione in Italia e all’estero, confidando che anche in questa circostanza riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati». Lo afferma il comando generale dei carabinieri in una nota dopo la notizia dell’avviso di garanzia della procura di Firenze al generale Mario Mori.

L’ultimo avviso di garanzia glielo hanno notificato il 16 maggio scorso, il giorno del suo 85esimo compleanno. Strage, associazione mafiosa, associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico le accuse di cui deve rispondere il generale Mario Mori. Ma l’ex capo del Ros ed ex direttore del Sisde, stavolta ha anticipato i pm e ha reso nota la notizia dell’atto giudiziario ricevuto insieme all’invito a comparire davanti ai magistrati di Firenze, fissato per il 23 maggio, il giorno del 32esimo anniversario della strage costata la vita al giudice Giovanni Falcone. L’ex ufficiale dell’Arma ha anche fatto sapere che non si presenterà per quella data, che per l’indagato non sarebbe stata affatto scelta a caso, per impegni del suo legale, l’avvocato Basilio Milio.

A fianco del generale si schierano il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che due giorni fa ha incontrato l’ufficiale a palazzo Chigi e il ministro della Difesa Guido Crosetto, oltre ad altri esponenti della maggioranza, in particolare Rita Dalla Chiesa, capogruppo di Forza Italia alla Camera. «Ho ricevuto a Palazzo Chigi il generale Mario Mori, che conosco da oltre 25 anni, e del quale ho sempre apprezzato la lucidità di analisi e la capacità operativa», ha detto Mantovano: «Gli ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte, delle quali mi ha messo a parte; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse». «Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni; non si poteva accettare il fatto che fosse stato assolto da ogni contestazione...», ha detto da parte sua Crosetto.

Dopo 22 anni di processi, che si sono tutti conclusi con assoluzioni, torna, dunque, sotto inchiesta l’ex capo del Ros che, secondo i pm fiorentini, pur avendo notizia delle intenzioni stragiste di Cosa nostra, nel 1993 si sarebbe girato dall’altra parte non facendo nulla per sventare i piani di morte dei mafiosi. «Pur avendone l’obbligo giuridico, Mori - scrivono i magistrati con in testa il neo procuratore Spiezia - non avrebbe impedito mediante doverose segnalazioni e denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto anticipazioni», poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico.

Nella ricostruzione dell’accusa ad anticipare al generale le mosse dei boss sarebbe stato, nell’agosto 1992, dopo gli attentati di Capaci e Via D’Amelio, dunque, il maresciallo Roberto Tempesta, informato dall’esponente della destra eversiva Paolo Bellini, che gli avrebbe fatto sapere delle bombe al patrimonio storico, artistico e monumentale e, in particolare, alla torre di Pisa». Altra fonte dell’ufficiale sarebbe stato il pentito Angelo Siino «durante il colloquio investigativo - dicono i pm - intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, durante il quale il collaboratore gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord».

«Quelle a mio carico, com’è agevole a tutti comprendere, sono accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni», commenta Mario Mori che fa notare che a Palermo i pm l’hanno processato per 11 anni con l’accusa di aver ’trattatò con la mafia e siglato un accordo con Bernardo Provenzano per far cessare le stragi, mentre a Firenze lo indagano per non averle impedite».

«Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine», conclude amaramente Mori.

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