I documenti contabili della società cooperativa La Rocca di Cefalù erano in regola. Anche il Durc, il documento di regolarità contributiva, era a posto. Peccato che, come hanno accertato i carabinieri, per tenere basse le rette e massimizzare i profitti, gran parte dei professori era costretta a restituire in parte o del tutto la retribuzione. Un ricatto odioso, finalizzato esclusivamente ad acquisire punteggio in graduatoria per l'insegnamento nelle scuole pubbliche.
Alcuni docenti dell'istituto paritario Scicolone di Cefalù e Ariosto di Termini Imerese avevano firmato una richiesta per avere una retribuzione in contanti, documenti senza alcun valore legale. Altri dovevano restituire le somme ricevute tramite bonifici. Così in casa degli indagati i carabinieri, coordinati dalla procura di Termini Imerese diretta da Ambrogio Cartosio, nel corso delle perquisizioni, hanno trovato delle casseforti con somme tra i 10 e i 15 mila euro in banconote di piccolo taglio e tanti fogli annotati a mano con i nomi dei professori e delle cifre a fianco. Nei loro confronti il gip ha firmato un'ordinanza che dispone una misura agli arresti domiciliari e quattro interdittive col divieto temporaneo di esercitare attività professionale e imprenditoriale nel settore dell'insegnamento per 12 mesi.
«Ma come fai a pagare i docenti in una scuola del genere con le spese che ha - diceva una delle indagate al telefono -? La retta degli studenti è 100 euro al mese. Ti pare che sono mille. Come fai con quei quattro alunni che ci sono a pagare un docente? Non puoi».
L'inchiesta è iniziata quando una delle insegnanti dell'Istituto paritario Scicolone si è confidata con un carabiniere in servizio alla compagnia di Cefalù e ha raccontato di essere stata costretta a restituire la somma corrisposta e anche il Tfr. In cambio avrebbe acquisito un punteggio per andare avanti in graduatoria e potere aspirare ad un posto nella scuola pubblica. Una prassi consolidata che sarebbe stata nota a tutti gli indagati che adesso devono rispondere, a vario titolo, di estorsione e sfruttamento del lavoro: Patrizia Ficicchia, presidente del consiglio di amministrazione della società, Pietro Giambelluca, preside della scuola di Termini Imerese, Giada Altilio, addetta alla segreteria e figlia di Patrizia Ficicchia, Daniele Giambelluca, consigliere, e Alice Cinzia Ficicchia, responsabile dell'istituto Ariosto di Termini Imerese.
Dopo il racconto della giovane insegnante, che aspirava ad avere un maggiore punteggio, tanti altri docenti si sono presentati dai carabinieri e hanno raccontato di essere stati costretti a restituire le somme. «Se qualcuno tardava arrivavano i messaggi whatsapp - raccontano le vittime - da parte dei gestori». Non appena si è diffusa la notizia delle indagini e sono iniziate le perquisizioni, sarebbero cominciate anche le ritorsioni da parte degli indagati. Patrizia Ficicchia, in una circostanza, dopo avere appreso delle indagini in corso, avrebbe provato a escogitare una vendetta contro i familiari di una insegnante che aveva parlato con i carabinieri. Aveva chiesto a un amico maresciallo della guardia di finanza di compiere un controllo fiscale nel ristorante di Cefalù del padre della prof e di «fargli i buchi». Il sottufficiale delle fiamme gialle non diede seguito alla richiesta. La stessa presidente del Consiglio di amministrazione, ormai certa di essere sotto indagine, chiese al titolare di un'azienda di impianti elettronici se fosse possibile eseguire la bonifica dei cellulari, dell'auto, dell'abitazione e degli istituti scolastici da microspie.
Nella foto Patrizia Ficicchia con la figlia Giada Altilio
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