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Palermo, la cosca di Brancaccio e la droga: mafiosi dal pollice verde pronti alla fuga

Avevano allestito una serra idroponica con quasi 500 piante di marijuana. Poi la scoperta della piantagione di droga indoor e la corsa per evitare l’arresto

Da mafiosi si erano trasformati... in coltivatori diretti, tranne poi scappare a gambe levate quando i carabinieri avevano scoperto tutto e li cercavano per arrestarli. La vocazione «agricola» non nasceva dalla passione per il verde, ma era piuttosto una necessità derivata dagli affari della droga: i due, infatti, si preoccupavano della serra che avevano realizzato in un magazzino in piazza Decollati.

Con grande stupore degli investigatori, che li stavano intercettando, il 31 luglio dell’anno scorso Giuseppe Chiarello e Settimo Turturella - due dei nove uomini d’onore finiti in galera nella recente operazione che ha messo in ginocchio i clan di Brancaccio e di corso dei Mille - discutevano di coltura idroponica, di irrigazione e di fioritura. L’argomento della conversazione riguardava la piantagione idroponica di marijuana, cioè quella che consisteva nella produzione delle piantine non sul terreno ma in vasetti riempiti d’argilla inumiditi con acqua e sostanze nutritive.

Il metodo era certificato, ma esisteva un grande problema: il vivaio era vuoto, in pratica cresceva poco o nulla, forse a causa anche del gran caldo di quei giorni che aveva fatto morire molti germogli. «Guarda per entrare il tubo, mettici la mano dove c’è il tubo nero - diceva Chiarello rivolto a Turturella -. Pensa qua con le luci accese, ieri gli abbiamo messo 39 gradi con tutte cose spente nella serra. Sono arrivato che mi sono fatto la doccia io. Gli ho fatto la fotografia a tuo padre, gli ho fatto tarare il coso un minuto che sono entrato e c’erano 46 gradi! Ho bagnato tutto per terra, mi sono infilato là dentro, non facciamo che deve bruciare. Una settimana di fuoco, qua 50 gradi c’erano. lo non l’ho curata mai ogni giorno e sono venuto a trovare la terra secca, secca». E l’amico rispondeva con l’esperienza del contadino provetto: «Con quel caldo, per questo si sono bruciate. Il caldo di lunedì e martedì le ha ammazzate».

Per rivitalizzare il raccolto ci volevano dunque investimenti per acquistare nuovi strumenti e loro, da bravi imprenditori del settore, progettavano di comprare il materiale da utilizzare come lampade, tubi e semi: «Le lampade sono più grosse sia di wattaggio che di grandezza, anziché quattro, tre! Ho preso 500 semi ma mancano i tubi. Fa come un “disonorato” per i tubi: almeno 15 mila euro glieli dobbiamo portare, poi il resto a settembre e a novembre se ne parla...». Ma, ormai da autentici esperti, ipotizzavano anche di prendere un trimmer elettrico, uno strumento che velocizza il lavoro per pulire fino a tre chili all’ora di fiori, in modo da poter avere più sostanza stupefacente da immettere sul mercato. L’unico ostacolo era il prezzo, troppo alto anche per loro: «Lo vedi come pulisce questa macchinetta. Prendevi la pianta direttamente, gliela mettevi là dentro e già ti usciva pulita, però costa 18 mila euro». E quando finalmente le prime piantine stavano venendo su, la soddisfazione dei due mafiosi era diventata quasi incontenibile. «Le hai viste? Queste foglie le tagli tutte per farle alzare? C’è quella che ha il fiorellino, vieni qua. La natura, oh! Vedi dove vanno a crescere le radici», commentava Turturella mentre Chiarello sentenziava che c’era ancora bisogno di acqua: «Più tardi le voglio riempire di più e faccio altri sessanta litri dalla tua parte».

Quattro mesi dopo, a fine novembre, il sogno dell’approvvigionamento fai da te era però svanito perché le forze dell’ordine avevano individuato il magazzino dove si trovava la serra sequestrando 492 piante oltre al relativo impianto di areazione, riscaldamento e irrigazione. La voce del blitz si era sparsa immediatamente nel quartiere e si era scatenata una confusione indescrivibile per il timore di essere catturati. Sia Chiarello che Turturella si erano resi irreperibili ma la moglie di quest’ultimo aveva chiesto «consulenza» al fratello per capire se il marito potesse essere «scagionato» e se era previsto l’arresto per quello che avevano combinato. La risposta alla domanda - forse un po’ ingenua - non aveva lasciato molte speranze perché l’ingente quantitativo di piante ritrovate non poteva certo essere motivato con l’uso personale ed inoltre l’uomo aveva aggiunto che «il problema è pure la luce», cioè la possibile contestazione di furto di energia elettrica che, a suo avviso, era un reato più grave di quello legato alla coltivazione della marijuana.

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