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Mafia e pizzo nel Palermitano, sei condanne in appello. NOMI E FOTO

L’organizzazione criminale concedeva soldi a strozzo tra Bagheria, Ficarazzi e Villabate

Confermata in appello, anche se con alcune riduzioni di pena, la sentenza di primo grado del processo Araldo in cui erano stati condannati dieci imputati per i reati di usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso e alcune vittime di usura, che con il supporto di Addiopizzo avevano raccontato i soprusi e le vessazioni subite, avevano ottenuto un risarcimento

La sentenza e i nomi

La Corte, presieduta da Adriana Piras, ha inflitto la pena più pesante di 5 anni e 2 mesi al bagherese Giovanni Di Salvo (detto Gino) ritenuto il capo della banda (erano 5 anni e 8 mesi); l'avvocato Alessandro Del Giudice, che ha collaborato con la giustizia, ha avuto lo sconto di un anno e dovrà scontare 4 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione; a Gioacchino Focarino sono toccati 3 anni e 2 mesi mentre 3 anni, un mese e 20 giorni (erano 3 anni e 4 mesi) sono andati all'imprenditore Simone Nappini. Confermate le condanne anche per Giovanni Riela (un anno e 8 mesi), Antonino Troia (2 anni e 2 mesi), Giacomo Alaimo (4 mesi). Assolti Giuseppe Scaduto e Atanasio Alcamo che avevano avuto un anno e Vincenzo Fucarino e Antonino Saverino, entrambi dalla pena di 6 mesi.

L'inchiesta

L’indagine, condotta dalla guardia di finanza e dai carabinieri e coordinata dalla Procura, aveva consentito di individuare un’organizzazione criminale che concedeva soldi a strozzo tra Bagheria, Ficarazzi e Villabate seguendo i movimenti dell’avvocato Del Giudice, che poi si era pentito scegliendo di aiutare i magistrati. I tassi variavano dal 143 per cento fino al 5.400 per cento all’anno e così, a fronte di un prestito di 500 euro, la somma da restituire in soli quattro giorni diventava di 800 euro.

 

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