Si è avvalso della facoltà di non rispondere Salvatore Di Giovanni, il «capobranco» che avrebbe guidato l'assalto a una pattuglia della polizia municipale di Palermo, assieme ad altri tre amici tra i quali il fratello Vincenzo di 26 anni. Volevano dimostrare che, alla Vucciria, comandavano loro. E per ribadirlo hanno attaccato i vigili, che il 25 novembre dell’anno scorso era intervenuta per liberare via dei Cassari dalle auto in doppia fila, ferendo i due agenti, uno dei quali ha rischiato anche di perdere un occhio. E quando l’auto con i suoi occupanti è stata costretta a fare marcia indietro per fuggire, hanno pure esultato come se avessero compiuto chissà quale impresa ricevendo pure l’approvazione di quanti si trovavano nei locali della zona. L’episodio in questione sarebbe avvenuto in un contesto da «malamovida» - così come l’ha definito il Gip Andrea Innocenti nella sua ordinanza - che ha portato all’arresto di Salvatore Di Giovanni, 32 anni, figlio di Tommaso, ritenuto il boss della cosca di Porta Nuova, il «capobranco» che avrebbe guidato alla battaglia contro il potere costituito altri tre amici, tra i quali il fratello Vincenzo di 26 anni.
Per tutti gli indagati - scrive il giudice - è stato ravvisato «un atteggiamento di totale avversione nei confronti dell’autorità e di indifferenza verso le più elementari regole della convivenza civile. Ancor più grave, emerge una aprioristica, e inaccettabile, volontà di difendere il “proprio territorio” da tentativi di controllo delle forze dell’ordine, vissuti come un’indebita e ingiustificata invasione della propria sfera di competenza, così da realizzare, all’interno del tessuto urbano, delle sacche degradate di illegalità e autogestione».
Le telecamere, posizionate anche in via Chiavettieri, avevano ripreso chiaramente tutti i drammatici momenti dell’assalto, già da quando la vettura di servizio proveniente da via Vittorio Emanuele era stata accolta con una serie impressionante di insulti («cornuti» e «sbirri» e altri irripetibili) da un gruppo di giovani che bevevano all’esterno dei pub, per poi assestare con violenza colpi agli sportelli e ai finestrini. Ma il protagonista della seconda fase dell’aggressione sarebbe stato proprio Di Giovanni senior, descritto come un soggetto muscoloso che i due agenti hanno identificato attraverso le foto segnaletiche: in base alla ricostruzione, sarebbe stato lui a raggiungere di corsa l’auto dei vigili urbani scagliandosi contro di loro gridando «vi ammazzo» e quindi sarebbe riuscito ad aprire la portiera centrando a distanza ravvicinata in pieno volto l’ispettore con una bottiglia di birra piena. Anche qui non ci sarebbe nessun dubbio sulla sua volontà di fare del male: «La condotta, peraltro accompagnata da plurime minacce di morte – mette nero su bianco il Gip - è indicativa non solo dell’accettazione del rischio di produrre lesioni, ma della volontà di attentare alla loro integrità fisica» ed è un miracolo che «gli agenti se la siano cavata con pochi giorni di prognosi». E, alla fine, ci sarebbero stati anche «vibranti festeggiamenti dopo l’allontanamento della pattuglia», sottolineano ancora gli inquirenti evidenziando «l’applauso di Vincenzo Di Giovanni, le braccia alzate al cielo di Salvatore in segno di vittoria e i ripetuti gesti di congratulazioni rivolti a quest’ultimo». A luglio il più grande dei due Di Giovani aveva finito di scontare 14 anni di reclusione per il tentato omicidio, a sfondo razzista, ai danni di due ragazzi dello Sri Lanka pestati con caschi e mazze in un assalto alla Zisa nella notte del 18 ottobre del 2011. Il figlio del capomafia si era difeso affermando che il raid non c’entrava nulla con il razzismo ma era una questione d’onore perché una delle vittime avrebbe rivolto apprezzamenti volgari alla sua fidanzata ma la versione, smentita anche dalle testimonianze, non aveva convinto i giudici, i quali alla fine lo avevamo condannato.
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