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Strage di via D’Amelio, il pentito Galatolo: «Ci dissero di non uccidere La Barbera»

Il collaboratore di giustizia dice che i boss fermarono il progetto, nato dopo che l'ex capo della Mobile aveva ucciso un giovane rapinatore

Il Palazzo di giustizia di Caltanissetta

«Mi ricordo che Mimmo Fasone era un ragazzo in gamba. Tra il 22 e il 23 dicembre del ‘91 ci eravamo scambiati gli auguri di Natale poi, ai primi di gennaio del ‘92, successe questa cosa che fu ucciso da La Barbera». Anche Vito Galatolo, oggi sentito a Caltanissetta nell’udienza sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, così come ha fatto nella scorsa udienza il pentito Francesco Onorato, si è soffermato sull’omicidio di Girolamo Fasone che, durante una rapina, fu ucciso da Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della squadra mobile.

«Quando il giornale pubblicò la notizia che Arnaldo La Barbera aveva ucciso Mimmo Fasone - ha continuato Galatolo - ci fu tanta rabbia, perché comunque un ragazzo giovane era stato ucciso. E si cominciò a dire di “andare a rompere le corna a questo La Barbera”. Dicevamo “ma come si è permesso a uccidere questo ragazzo?”. Ma poi mio cugino Angelo e i miei zii dissero che non si poteva fare perché Madonia teneva a La Barbera».

«Dovevamo dargli un colpo di legno», ha aggiunto. «Volevamo fare un’azione criminale. Dovevamo fare un’azione grave e molto delicata. Dovevamo fare un agguato. Poi mio zio - ha aggiunto Galatolo - ci disse che non dovevamo minimamente pensarlo». Galatolo, nel processo d’appello a tre poliziotti accusati del depistaggio, ha anche detto che l’ex capo della Mobile «era corrotto». Nei servizi segreti, ricorda ancora il collaboratore di giustizia, «c’era Giovanni Aiello, "Faccia da mostro", che veniva ad incontrare gli uomini d’onore a vicolo Pipitone. Venivano La Barbera, Contrada... Sto dicendo chi ho visto io personalmente».

«Io - ha raccontato Galatolo, , rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto - di cosa parlavano mio zio e Arnaldo La Barbera non lo so. Quello che so è quello che ci diceva a noi mio zio Giuseppe, che era una persona che stava a cuore dei Madonia e che era a libro paga dei Madonia. Mio zio non mi disse mai che La Barbera faceva parte dei servizi segreti, da quello che ricordo, si seppe dopo».

Vicolo Pipitone non era solo luogo di incontri. «Nella casuzza di vicolo Pipitone - ha riferito il collaboratore di giustizia - sono stati commessi tantissimi omicidi. Ne venivano fatti diversi al giorno. Venivano da tutte le città a fare omicidi lì dentro». Galatolo, in collegamento da una località riservata, ha fatto un elenco di una serie di omicidi commessi in quel piccolo edificio. «C'è stato un certo Palazzolo - ha detto il teste - che era un confidente dei carabinieri che è entrato e non è uscito più. Un giorno uno è entrato nello stesso scantinato dove La Barbera si vedeva con mio zio. Questo ci stava scappando e Salvo Madonia gli ha sparato là dentro. Poi è stato un certo Sirchia. Poi c'era gente che arrivava da diversi paesi che portavano persone che si uccidevano pure là. Era un viavai di persone. Quando hanno ucciso il generale Dalla Chiesa e Rocco Chinnici, da quella casuzza, da quello scantinato è partito il commando per gli omicidi».

Il pentito, richiamato più volte dal presidente della Corte Giovan Battista Tona per i battibecchi con i due avvocati della difesa, Giuseppe Panepinto e Giuseppe Seminara, ha replicato: «Presidente, chiedo scusa, però quello che ho capito io è che gli avvocati sanno che sono un pochino frizzantino e lo fanno apposta a farmi arrabbiare».

L’udienza è stata rinviata a martedì 30 gennaio. Sarà sentito il teste Gioacchino Genchi.

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