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Palermo, così i mafiosi investivano sui siti di scommesse all’estero: i sulle piattaforme online erano difficili da tracciare

Dall'indagine che ha portato al maxi sequestro da 43 milioni di euro viene fuori il ruolo di due imprenditori del settore

La mafia investiva fino a due milioni e mezzo di euro al mese sulle scommesse alimentando i siti online illegali, impossibili da tracciare e quindi vere e proprie miniere d’oro per le casse. Un fiume di denaro paragonabile a quello della droga, anzi per certi versi più sicuro, perché ufficialmente poteva contare anche su un’ampia rete di agenzie in diverse regioni italiane con tanto di concessione dei Monopoli. I gestori abilitati alla raccolta lecita di scommesse «da banco», in accordo con i capi dell'organizzazione, le trasferivano su «conti gioco» intestati a soggetti terzi mediante l’utilizzo di piattaforme straniere illegali. La nuova frontiera, infatti, era all'estero: a Malta, ma anche in Romania, in Lituania e in altri paesi dell’Est, dove erano installati i server che accettavano le giocate degli scommettitori. In questo modo le puntate erano impossibili da controllare, le tasse venivano evase ed i capitali non erano individuabili violando così le disposizioni in materia di antiriciclaggio.

A dirigere il giro milionario - in grado di sopportare volumi di gioco per circa 100 milioni di euro - era il boss Francesco Paolo Maniscalco, il personaggio chiave dell'inchiesta a cui avrebbero fatto capo diverse società molto attive nel settore del gaming. Esponente della famiglia di Palermo Centro, entrò nelle grazie dei personaggi che contavano grazie al colpo al caveau del Monte di Pietà che, nel 1991, fruttò un bottino tra oro e gioielli da 18 miliardi di vecchie lire. Tesoro che nessuno vide mai più. Lo stesso Riina lo riteneva un ragazzo «con le palle» e anche «un lupo», cioè un soggetto di caratura criminale elevatissima e di sicura lealtà verso Cosa nostra. Poi decise di «riciclarsi» e di tuffarsi nel mondo degli affari, prima nella ristorazione e nel caffè, in città e a Roma. Quindi si sarebbe dedicato alla nascita di una holding nel settore dei giochi e delle scommesse in cui, poco alla volta, avevano investito i vertici delle famiglie mafiose di Pagliarelli, Porta Nuova, Palermo Centro, Brancaccio e Noce, come aveva dimostrato nel 2020 l’operazione «All in» della guardia di finanza.

Le agenzie erano intestate a prestanome ma, di fatto, venivano gestite dallo stesso Maniscalco e dai suoi uomini di fiducia come il palermitano Salvatore Rubino, di 62 anni, e Christian Tortora, di 47 originario di Cava dei Tirreni, nei confronti dei quali venerdì è scattato il sequestro dei beni per 43 milioni di euro, una cassaforte che conteneva immobili, una villa a Favignana, quote di capitale di 11 società con sede nelle province di Milano, Roma, Salerno e Palermo e 45 tra conti correnti, conti deposito, titoli, polizze assicurative e buoni postali.
I due imprenditori erano stati arrestati assieme a Maniscalco: quest’ultimo, nel processo d’appello nato proprio da quelle indagini, era stato condannato a 11 anni, uno in meno ne dovrà scontare Rubino mentre a Tortora sono stati inflitti 4 anni e 6 mesi di carcere.

Rubino, secondo la ricostruzione dell’accusa, operava come una sorta di collettore dei finanziamenti di Cosa nostra. Ogni mandamento avrebbe investito centinaia di migliaia di euro: i soldi giravano e garantivano interessi, ma dietro ci sarebbero state le famiglie mafiose, - come quella di Pagliarelli - che avrebbero visto in lui l’uomo giusto per «la sua lunga esperienza». In sostanza i boss avrebbero messo i fondi per avviare l'impresa, poi, però, i soldi dovevano tornare indietro, anche perché servivano per i detenuti. Il meccanismo, ben congegnato, affondava le radici nel 2007, quando la società «Bet for bet» aveva cominciato la sua scalata nel mercato del gioco grazie all’intraprendenza di Rubino.

I passaggi societari erano numerosi, così come i sistemi per trasferire la grande mole di contanti: alcune società venivano svuotate e altrettante ne venivano aperte per cercare di sviare gli investigatori. «Te lo spiego, soldi ufficiali mettiamo noi altri - spiegava Rubino mentre era intercettato tre anni fa -. È un’operazione ufficiale, il profitto corrisponde al doppio dell’investimento iniziale, dura 6 mesi esatti, cioè 180 giorni... dal centottantunesimo giorno, entro 10 giorni dalla scadenza li riaccreditano sul conto e poi noi altri li usciamo per i fatti nostri. È una bella operazione per potere guadagnare. Va dal 9 al 19 febbraio. È una buona opportunità. Parlate chiaro... le cose devono essere chiare, se una cosa si può fare si fa».

 

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