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Palermo, l'omicidio del cameriere: c'è un secondo indagato, è un cugino del tunisino in carcere

A mezzogiorno l'udienza di convalida del fermo, nel pomeriggio l'autopsia sul corpo di Badr Boudjemai

Appetì e Al Magnum, i due locali di via Emerico Amari, a Palermo

C’è un altro indagato nell’omicidio di Badr Boudjemai, il cameriere algerino di 41 anni, ucciso venerdì notte in via Roma, a Palermo, con tre colpi di pistola, probabilmente per un banale screzio avvenuto durante il lavoro. Si tratta di Saber Elabed, 30 anni, un cugino di Aly Elabed Baguera, il cameriere tunisino di 32 anni che - in base alla ricostruzione degli investigatori - avrebbe sparato al collega, freddandolo con due colpi di pistola alla schiena e uno in testa per finirlo mentre era a terra. Oggi a mezzogiorno, a palazzo di giustizia, si terrà l’udienza di convalida di Baguera, difeso dall’avvocato Salvino Caputo, che è in stato di fermo al carcere dei Pagliarelli: sarà il giudice Angela Lo Piparo a decidere se confermare o meno l’arresto. Nel pomeriggio, invece, è stata fissata l’autopsia sul corpo dell’algerino.

Il fascicolo con tutte le prove raccolte sarà quindi consultabile stamattina dalle parti: agli atti ci sono le dichiarazioni della cognata del defunto che ha affermato che nei mesi scorsi c’era stata una lite tra Samir, l’appellativo con cui era conosciuto l’algerino assassinato che lavorava nel ristorante Appetì di via Emerico Amari, e il tunisino che come lui faceva il «buttadentro» nel locale adiacente, Al Magnum. I dissapori per accaparrarsi i clienti sarebbero stati evidenti tanto che per gli investigatori sarebbe proprio questo il movente che avrebbe provocato l’esecuzione di Badr anche se non ci sarebbero altri testimoni in grado di confermare questa circostanza.

Secondo i carabinieri di piazza Verdi, che stanno cercando di fare luce su quanto è avvenuto, Saber - che era impiegato come il cugino nel ristorante Al Magnum - potrebbe aver aiutato in qualche modo il parente nelle fasi immediatamente successive all’agguato. L’uomo, assistito dall’avvocato Anthony De Lisi, ha risposto a tutte le domande degli inquirenti sostenendo di non aver nulla a che fare con il delitto: «Aly era andato via prima perché doveva rientrare a mezzanotte - avrebbe detto Saber -. Io ho chiuso il locale, poi sono andato a versare l’incasso della serata nella cassa continua di una banca di via Ausonia e sono rientrato a casa senza fermarmi in nessun altro posto».

Una versione simile di innocenza l’aveva fornita anche il sospettato, il quale però era stato posto in stato di fermo. Aveva spiegato che aveva ottenuto l'affidamento in prova per uscire al mattino e rientrare a fine giornata. Baguera, arrivato con un barcone a Lampedusa, era stato condannato a 4 anni di carcere per aver aver partecipato a una rivolta nel centro di accoglienza: successivamente era stato scarcerato per buona condotta e il tribunale di sorveglianza gli aveva concesso di lavorare nel locale di via Emerico Amari gestito dai parenti: «Lavoro da mio cugino - aveva dichiarato ai magistrati che lo interrogavano - come previsto dal tribunale, e alle 23.45 mi sono diretto verso casa. Con quel delitto non c'entro nulla. Non mi rovino la vita per un cliente in più o in meno».

Nei prossimi giorni sarà effettuata la perizia sui telefonini degli indagati ma - sostengono gli inquirenti - a inchiodare Aly Elabed ci sarebbero i video tratti dalle telecamere di sorveglianza del palazzo delle poste e di un albergo che inquadrerebbero il marciapiede dove è stramazzato senza vita l’algerino. Si vedrebbe un uomo, avvolto in un un giubbotto, marca North Pole, con un cappuccio che si allontana dal luogo in cui sono stati esplosi i colpi mortali. In quelle immagini chi indaga ritiene di aver riconosciuto il cameriere tunisino: il consulente della Procura sarebbe riuscito a «pulire» il filmato notturno estrapolando alcuni frame da cui sarebbe riconoscibile il viso di Baguera. Per evitare il pericolo di fuga e, vista la presenza di gravi indizi di colpevolezza, è quindi probabile che il pm chieda la misura cautelare in carcere.

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