A dare un nome e un cognome ai sette ragazzi dello stupro di Palermo sono stati i video che li hanno immortalati mentre trascinavano la diciannovenne verso il cantiere abbandonato del Foro Italico, il luogo dove poi si è consumata la violenza di gruppo. A inchiodarli, e a restringere notevolmente il campo delle loro possibilità di difesa, sono invece i messaggi che si sono scambiati prima e dopo gli abusi.
Un ruolo centrale è quello di Angelo Flores, uno degli arrestati, che ha filmato tutto con il suo telefonino e che avrebbe girato video an che ad amici estranei alla vicenda. In un messaggio è invece Elio Arnao, anche lui in carcere, a volersi rivedere: «Figghiò me lo mandi il video pure a me quello di là al Foro Italico?», aveva scritto a Flores, segno - così come pensano gli inquirenti - che questi file sono stati condivisi in più occasioni e forse sono finiti nel deep-web, utilizzato da alcuni utenti per nascondere le loro attività.
Soprattutto dai resoconti degli interrogatori di garanzia, depositati in attesa che il 3 ottobre si svolga l’incidente probatorio, emerge la linea difensiva degli indagati che rischiano una condanna pesantissima Ad agosto, subito dopo essere stati arrestati, gli indagati avevano provato a sminuire le loro responsabilità affidandosi sempre alla stessa versione: «Ci stava, anzi sarebbe stata proprio lei a indicare i primi due con cui avere i rapporti sessuali». A tentare di tirarsi per primo fuori dai guai era stato Flores che aveva fatto i nomi dei suoi compagni Cristian Barone, Christian Maronia, Elio Arnao, Gabriele Di Trapani, Samuele La Grassa e Riccardo Parrinello, all’epoca l’unico minorenne.
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