La vendita di droga in Campania era andata male, anzi malissimo, tanto che Girolamo Federico, pluripregiudicato e trafficante, uno dei sedici finiti in carcere con l'operazione Resurrezione di due giorni fa, temeva per la sua vita e per quella del figlio. Per questo girava a Palermo armato con un fucile a canne mozze e si era rivolto agli amici della cosca di Resuttana per avere protezione e per cercare di risolvere il problema, un debito di oltre 120 mila euro contratto con due finanziatori palermitani.
Carlo Giannusa e Mario Napoli, due uomini d'azione della famiglia mafiosa specializzati nelle estorsioni, questa volta avevano il compito di intavolare una mediazione con i due esponenti dei mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e di Porta Nuova per evitare che a Federico potesse capitare qualcosa di brutto. Il trafficante, infatti, aveva chiesto 85 mila euro a Franco Balsameli di Falsomiele, finito ai domiciliari sempre nell'operazione Resurrezione, e 40 mila al figlio di Salvatore Pispicia, quest'ultimo uomo molto in vista all'interno della famiglia di Porta Nuova. Ma Federico aveva perso entrambi i carichi e quindi non era in grado di ripianare i prestiti.
«Avrei bisogno di una mano di aiuto di un amico», diceva Federico a Giannusa. «Sangu miu, qua sono! Vediamo di risolvere, quello che possiamo fare, facciamo», la risposta. I primi affari di Federico erano andati bene anche se «un paio di volte il Signore ci ha aiutato», poi un grosso quantitativo di droga era stato sequestrato «strada facendo si è perso questo coso, ci si devono dare i soldi ai cristiani, i patti sono questi. La fiducia tutta quella che vuoi, però strada facendo, quello che succede, succede, responsabile sei tu!».
Per cercare di recuperare, Federico si era fatto anticipare i soldi e aveva comprato altra droga ma per non farsi intercettare dalle forze dell'ordine aveva deciso di spacciarla a Marano, in Campania, assieme ad un socio napoletano. Ma pure stavolta qualcosa era andato storto: «Gira e rigira, gira e rigira, un poco l'ho venduta, gli porto i primi soldi, e fra una vendita a Marano si escono a dire che io gli devo dare soldi e si sono tenuti tutte cose! E sono nei guai». Anche perché Federico aveva tenuto all’oscuro i finanziatori palermitani, i quali non avendo ancora un rientro sull'investimento, gli avevano minacciato il figlio. «Questi soldi a questi non glieli ho potuti dare e vanno dal picciriddu. Parlando con te, cammino con la scupietta con le canne tagliate in macchina. E cerco un poco di conforto, un poco di aiuto perché, credimi, sono disperato!», spiegava a Giannusa, sottolineando però di aver assicurato per lungo tempo 7 mila euro a settimana a Balsameli e 2 mila e 200 a Pispicia. I due mafiosi, comunque, lo avevano rassicurato e, dopo un paio di riunioni con altri mafiosi, era scattata la protezione a patto di consegnare la somma dovuta al più presto.
Nelle foto Carlo Giannusa (a sinistra) e Mario Napoli
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