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Il blitz antimafia di Palermo, per tre indagati il gip ha rigettato la richiesta di arresto

Si tratta di persone coinvolte in una progettata estorsione a un'azienda di onoranze funebri. Secondo il giudice non ci sono elementi per affermare che il piano criminoso sia passato poi alla fase concreta

Polizia Palermo Questura

Per tre indagati dell'inchiesta antimafia denominata Resurrezione l'arresto non è scattato. Il gip di Palermo Fabio Pilato ha ritenuto che non vi fossero elementi per sottoscrivere la richiesta di custodia cautelare in carcere  presentata dalla procura. Gli arresti eseguiti dalla polizia ieri, 10 luglio, sono stati diciotto, sedici in carcere e due ai domiciliari. Le richieste della procura però riguardavano ventuno persone.

La vicenda che ha portato al diniego del giudice riguarda la volontà del clan mafioso di Resuttana di riscuotere il pizzo da un'impresa del settore delle onoranze funebri. I protagonisti del tentativo di intimidire un'imprenditrice sono Sergio Giannusa, il braccio destro del capomafia di Resuttana Salvatore Genova, e un affiliato del clan di Cruillas. Insieme si recano anche presso la ditta nel mirino, ma senza esito.

Successivamente lo stesso Giannusa riceve alcune indicazioni da due imprenditori del settore, padre e figlio, fornitori delle aziende di onoranze funebri. Ma alla fine, conclude il gip, «le risultanze sopra riportate non consentono di formulare un giudizio di grave reità indiziaria sulla tentata estorsione ai danni della ditta». Più nel dettaglio, appare chiaro che l'impresa funebre sia caduta nel mirino estorsivo dei mafiosi e che vi sia stato un chiaro proposito di incontrare la titolare. «Tuttavia, non ricorrono elementi per affermare né che tale incontro sia avvenuto», né che il proposito criminoso abbia avuto uno sviluppo tale da passare dalla fase preparatoria a quella concreta. «Deve pertanto rigettarsi la richiesta del pm», conclude il gip, non ravvisando gli estremi della tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso né per Giannusa (che comunque va in carcere per numerosi altri episodi), né per gli altri tre, il mafioso del clan di Cruillas e padre e figlio imprenditori.

Questi ultimi, fra l'altro, a un certo punto consigliano al boss Giannusa di non insistere nel proposito estorsivo. «Stai attento che questi sono tutti "carabinieri"», dice il figlio, riferendosi ai titolari della ditta nel mirino del clan. E subito dopo, di fronte al mafioso che risponde «Non mi interessa», l'imprenditore continua: «Vedi che sono "sbirri"! Questi "cornuti" e "sbirri"!». A questo punto interviene il padre: «Lui ci lavora perché si guadagna il pane, lei... lei e suo marito sono "carabinieri"!». Il «lui» di cui parla l'imprenditore è un collaboratore della ditta, che loro stessi avevano contattato affinché parlasse con i titolari per farli incontrare con gli estortori. Un tentativo che va a vuoto. Il collaboratore non riesce a rintracciare i titolari e del progetto di estorsione si perdono le tracce, al punto che per tutti scatta la decisione di rigettare la richiesta della misura cautelare.

 

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