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Il blitz di Palermo: il notaio chiese aiuto ai mafiosi per liberare quattro appartamenti

Sergio Tripodo al centro di una vicenda di minacce ad alcuni inquilini che non volevano abbandonare un immobile da lui acquistato. Avviato l'iter per la sospensione

Sergio Tripodo, il notaio finito agli arresti domiciliari

Parte l’iter per la sospensione del notaio finito ieri nell’inchiesta che ha portato a diciotto arresti a Palermo. Si tratta di Sergio Tripodo, palermitano di 71 anni.

Il Consiglio notarile di Palermo e Termini Imerese, appresa la notizia dell'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di Tripodo, ha immediatamente richiesto all’autorità giudiziaria copia del relativo provvedimento, per dare corso agli adempimenti di legge. È quanto si legge in una nota del Consiglio. La legge notarile - aggiunge la nota - prevede che nei confronti del notaio la Commissione regionale di disciplina applichi - su richiesta degli organi titolari dell’azione disciplinare - la sospensione cautelare obbligatoria dall’esercizio delle funzioni notarili. Il Consiglio notarile, avuta l’ufficialità della notizia, si attiverà prontamente per presentare la richiesta alla Commissione.

Il notaio è al centro di una vicenda per la quale viene ipotizzata dagli inquirenti la tentata estorsione aggravata dall'impiego del metodo mafioso. Tripodo, nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Fabio Pilato su richiesta della direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, viene indicato quale mandante delle minacce rivolte agli inquilini di un immobile di via Alaimo da Lentini, nella zona del mercato ortofrutticolo di Palermo, affinché lasciassero le case. Per la soluzione del caso era sceso in campo persino Sergio Giannusa, il braccio destro del capomafia di Resuttana Salvo Genova. Entrambi sono finiti in carcere nell'ambito dell'operazione Resurrezione portata a termine ieri (10 luglio) dalla polizia di Palermo.

Da un'intercettazione che risale al novembre del 2020 emerge che Giannusa era andato di persona al Borgo Vecchio per contattare il pregiudicato mafioso Michele Siragusa, più volte definitivamente condannato per aver fatto parte della famiglia mafiosa di quel quartiere e destinatario anche lui di un ordine di custodia cautelare in carcere, nell'ambito dell'inchiesta di ieri ribattezzata Resurrezione. In quell'occasione Giannusa aveva illustrato la vicenda al figlio di Siragusa, informandolo che un notaio, ossia Tripodo, aveva acquistato alcuni appartamenti vicino alla via Montalbo e non era riuscito a entrarne in possesso per «l'ostruzionismo degli inquilini, i quali non avevano ancora liberato i locali, nonostante un provvedimento di sfratto esecutivo», come si legge nell'ordinanza. Giannusa a quel punto aveva anche raccontato che Michelangelo Messina, un altro degli arrestati di ieri, molto legato al notaio Tripodo, si era recato presso l'immobile di via Alaimo da Lentini ed aveva espressamente minacciato uno degli occupanti allo scopo di farlo sgombrare: «Quello è andato là... a uno gli ha detto "vedi che io ti butto da qua sopra", dice, "te ne devi andare!"».

Il 10 novembre 2020, poi, in tre sono andati nuovamente in via Alaimo da Lentini, Messina, Giannusa e lo stesso Michele Siragusa del Borgo. Obiettivo, come si evince da un'intercettazione, risolvere la questione dei «quattro appartamenti». In quella circostanza Giannusa «affermava chiaramente - scrive il gip - di essere intervenuto perché richiestogli dal proprietario, ossia da Tripodo». La conversazione era presto salita di tono. Dopo avere spiegato agli inquilini dello stabile che l'immobile «ha un solo padrone», ossia il notaio, di fronte alla resistenza di uno di loro («Va be', vengono i carabinieri e ci buttano fuori i carabinieri»), Messina e Giannusa avevano risposto in tono minaccioso: «I carabinieri devono venire per buttare fuori a lei?», «Ma veda che lei ... lei... lei sta dando numeri! Sta parlando ass... sta parlando più del dovere...».

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