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Il colonnello che ha catturato Messina Denaro: «Le indagini non finiscono, mafia non ancora sconfitta»

Lucio Arcidiacono ha partecipato all’iniziativa della Regione Toscana in occasione dei 30 anni dalla strage di via dei Georgofili

Lucio Arcidiacono durante la perquisizione del secondo covo del boss Matteo Messina Denaro

«Il 16 gennaio - dice il colonnello dei Ros dei carabinieri, Lucio Arcidiacono - abbiamo assicurato alla giustizia l’ultimo dei latitanti stragisti corleonesi, lo Stato non poteva accettare che ci fosse ancora Matteo Messina Denaro libero. Quindi abbiamo in parte saldato il debito che avevamo nei confronti della collettività, delle vittime e dei familiari che continuano ancora oggi a soffrire. Le indagini non finiscono perché purtroppo il fenomeno non è stato sconfitto».

Arcidiacono, che il 16 gennaio scorso, alla clinica La Maddalena di Palermo, era a capo dei carabinieri che hanno catturato il superlatitante, ha partecipato all’iniziativa della Regione Toscana a Firenze in occasione dei 30 anni dalla strage di via dei Georgofili avvenuta il 27 maggio 1993. Per il colonnello dei Ros «è chiusa la stagione corleonese, ma è necessario non abbassare l’attenzione perché è importantissimo continuare a lavorare e a svolgere il nostro lavoro e ovviamente non abbiamo solo noi questa capacità, non possiamo solo noi contrastare il fenomeno, bisogna che tutte le istituzioni facciano la loro parte affinché questo fenomeno sia debellato in maniera definitiva».

Secondo Arcidiacono, «i giovani di Firenze e della Toscana pur non avendo vissuto quel giorno, hanno ben presente quel che è accaduto. Le manifestazioni e le commemorazioni fatte a Firenze negli anni hanno tenuto vivo il ricordo, e questo ricordo ha tenuto vivo anche il nostro lavoro, ci ha convinto e sollecitato a fare sempre di più per cercare di raggiungere l’obiettivo che finalmente è stato raggiunto il 16 gennaio di quest’anno. Ai giovani bisogna spiegare bene quali sono i pericoli che porta la mafia nella società civile». A giudizio del colonnello, «bisogna dire ai giovani che non devono mai sottovalutare i segnali che possono intravedere nelle giornate che vivono, quando si accorgono che ci sono prevaricazioni e soprusi. Bisogna far capire loro che questi atteggiamenti a volte sono indicativi dell’esistenza di qualcosa di molto più pericoloso che può insinuarsi e distruggere la società dalle fondamenta».

Alla manifestazione ha partecipato anche Tina Montinaro, presidente dell’Associazione Quarto Savona 15, e vedova del caposcorta di Giovanni Falcone, Antonio Montinaro, ucciso nella strage di Capaci a 29 anni. «L'arresto di Matteo Messina Denaro - ha dichiarato - per noi è una grande soddisfazione perché è stato arrestato l’ultimo stragista e noi possiamo dire che finalmente è stato arrestato, ma questo non significa che la mafia non esiste più e questo è importante dirlo ai giovani. Dobbiamo dire che la mafia si è evoluta e continua a lavorare».

Anche per la vedova Montinaro «la memoria è un valore molto importante che va trasmesso ai giovani, sono passati 30 anni, 31 per la strage di Capaci, e quindi bisogna informare i giovani proprio per fare capire loro che cosa è successo nel nostro Paese e chi sono stati quei criminali. Per me è un onore essere presente qui e anche un dovere perché è importante parlare con i giovani, darsi da fare, loro devono essere curiosi, si devono fare delle domande e capire cosa è successo nel nostro paese 30 anni fa». La vedova Montinaro ha poi detto che «la polizia l’ho sempre avuta accanto, è la mia famiglia e non mi ha mai fatto sentire sola».

A Firenze, nel piazzale degli Uffizi, sono stati esposti i resti di Quarto Savona 15, il nome dell’auto di scorta sulla quale viaggiavano i tre agenti morti a Capaci. «La porto in tutta Italia - ha detto Tina Montinaro - per dimostrare che non hanno vinto loro. La vedo tutti i giorni, ma non posso mai soffermarmi a guardarla attentamente. Per me questa è la tomba di mio marito, lì dentro non ci sono solo i resti di quella macchina, ma ci sono i resti di mio marito, di Vito e di Rocco».

«Mio marito era un ragazzo giovanissimo che aveva deciso di entrare in polizia a 18 anni - ha spiegato Tina Montinaro -. Era un poliziotto coraggioso, aveva fatto un giuramento e non aveva fatto un passo indietro. Quando è saltato in aria aveva 29 anni. Con le sue scelte fa camminare me i suoi figli a testa alta, ancora oggi». Una delegazione ha deposto anche una corona di fiori davanti all’albero della pace che in via dei Georgofili rievoca l'attentato con l’autobomba del 27 maggio 1993.

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