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Catturato il superlatitante Matteo Messina Denaro, era alla Maddalena per curarsi. Si faceva chiamare Andrea Bonafede

Le prime immagini dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L'ultimo padrino è stato catturato nella clinica La Maddalena di Palermo. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano  è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

Non ha opposto resistenza all'arresto

Matteo Messina Denaro si era recato nella clinica privata «per sottoporsi a terapie oncologiche» per un tumore, scoperto due anni fa. Aveva già fatto il tampone e aspettava gli altri esami prima di sottoporsi alla chemio. Un percorso clinico che era cominciato quando al capomafia era stato diagnosticato un cancro al colon. Sarebbe stato operato nell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo. Da allora si era sottoposto a cicli di chemio e visite fino alla scoperta del tumore al fegato. Si sarebbe sottoposto a cicli di chemio una volta ogni sei mesi.

La falsa identità e i documenti falsi

Nel documento falso esibito ai sanitari della Maddalena c'era scritto il nome di Andrea Bonafede. Negli ospedali presentava una cartà d’identità rilasciata dal comune di Campobello di Mazara dove risultava nato il 23 ottobre 1963 e dove sarebbe stato residente in via Marsala. Il boss è nato invece a Castelvetrano il 26 aprile 1962. Il mafioso aveva anche un codice fiscale con i dati relativi a Andrea Bonafede. Lo dice il comandante del Ros dei carabinieri Pasquale Angelosanto dopo l’arresto del boss compiuto dagli uomini del raggruppamento speciale assieme a quelli del Gis e dei comandi territoriali.

Dopo l'arresto l'ultimo padrino è stato è stato trasferito nella caserma San Lorenzo e poi all'aeroporto di Boccadifalco per essere portato in una struttura carceraria di massima sicurezza. La stessa cosa accadde al boss Totò Riina, arrestato il 15 gennaio di 30 anni fa.

Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da Primula Rossa. «Sentirai parlare di me - le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità». Il capomafia trapanese è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ‘92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.

Una latitanza record come quelle di Riina e Provenzano

Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di «prima grandezza ancora ricercato». Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

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