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Preside e vice avevano paura di finire in carcere: «Di queste cose non parliamo al telefono...»

Un fermo immagine dal video dei carabinieri con le immagini riprese dalle telecamere alla scuola Falcone

La scuola Falcone considerata come «un pozzo dal quale attingere costantemente qualsivoglia utilità, dagli strumenti tecnologici di ultima generazione ai generi alimentari». Nell’atto d’accusa contro la preside Daniela Lo Verde, il suo vice Daniele Agosta e l’impiegata di una ditta di informatica, Alessandra Conigliaro, finiti agli arresti domiciliari con le accuse di peculato e corruzione, il gip Elisabetta Stampacchia usa toni duri per descrivere il malaffare.

Sui comportamenti dei due insegnanti, il giudice parla di «comune sentire la cosa pubblica come propria», della «costante ricerca di un personale tornaconto e della sostanziale indifferenza verso le finalità della azione amministrativa. Riguardo alla Lo Verde, risulta particolarmente significativo della completa adesione a logiche di condotta meramente utilitaristiche, della strumentalizzazione dell’azione amministrativa e della vocazione all’illecito coinvolgimento delle figlie, che dalla madre e dai suoi comportamenti sono state indotte a pensare all’istituto Falcone - e quindi alla pubblica amministrazione in generale - come a un pozzo. Allo stesso modo, e forse ancor di più, l’unico interesse di Daniele Agosta sembra essere stato quello di ottenere quanti più vantaggi possibile dal rapporto con la preside e con il suo ufficio».

Le intercettazioni e le riprese dei carabinieri sull’uso disinvolto delle risorse e dei beni destinati alle attività didattiche nella scuola dello Zen hanno fatto emergere una lunga catena di abusi: dalle false presenze ai corsi finanziati con i fondi europei ai furti di generi alimentari, dall’acquisto di beni personali all’uso di computer e telefoni cellulari, consegnati dalla ditta fornitrice di apparecchiature informatiche. Le microspie hanno captato un colloquio in cui Lo Verde e Agosta, venuti a conoscenza delle indagini sul loro conto, parlano del rischio concreto di finire in carcere e delle procedure adottate per spendere i fondi pubblici. Affermano di non volere parlare più per telefono di «queste cose» e discutono di affidamenti diretti con diverse ditte. Agosta ad esempio spiega alla preside: «È tua facoltà, sotto i 40 mila euro, soprattutto per il Covid, che addirittura arrivava a 50 mila. Quindi, cerca di finirla...».

Nella scuola diretta dalla preside Lo Verde, insignita del titolo di cavaliere all’Ordine e al merito della Repubblica e in apparenza paladina della legalità, sarebbe stata una prassi raccogliere a posteriori le firme degli alunni assenti per non perdere i fondi pubblici. Progetti finanziati con risorse comunitarie per l'inclusione sociale, lo sviluppo culturale e la creazione di un sistema di istruzione di qualità. Secondo le stime degli inquirenti, l'ammontare dei fondi supererebbe i centomila euro.

«L’attività di intercettazione ha riscontrato ampiamente le condotte relative alla apposizione postuma delle firme sui fogli di presenza per i progetti in corso - spiega il giudice - anche di mano stessa degli odierni indagati e delle insegnanti, talvolta rimproverate per avere svolto il lavoro in maniera superficiale. La mancata partecipazione degli studenti inciderebbe in maniera direttamente proporzionale sulla quota parte dei fondi stanziati per ciascun Pon destinati ai dirigenti degli istituti».

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