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Il procuratore di Palermo De Lucia: «Al 41 bis i boss che governano, non i killer che non sanno chi uccidono»

Il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia

Il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, ha detto che «il 41 bis è uno dei pilastri sui quali è stata costruita l’azione dello Stato in questi 30 anni». E ha spiegato: «Siamo partiti dalle autostrade saltate e dai corpi di poliziotti e magistrati dilaniati, non dobbiamo mai dimenticare che questo è Cosa Nostra». Il magistrato è intervenuto a un incontro del festival del giornalismo a Perugia, intervistato dal giornalista Lirio Abbate in un incontro sul tema «Chi ha protetto Matteo Messina Denaro? La mafia di ieri e di oggi».

Il procuratore ha proprio confrontato il passato e il presente. «Prima - ha detto De Lucia - catturavamo i capi delle organizzazioni mafiosi, questi andavano in carcere e i pentiti ci parlavano del “grande hotel Ucciardone” (il carcere di Palermo, ndr) da dove continuavano a governare i territori come facevano da liberi. Per questo è importante il regime speciale del 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Non è una pena in più, non è che il mafioso detenuto deve stare peggio. È una misura di prevenzione e serve a evitare che un mafioso dal carcere continui a comandare. Non ne ho chiesto l’applicazione per killer che avevano compiuto anche cento omicidi perché erano bravissimi nell’uso del kalashnikov ma non sapevano chi e perché avevano ucciso. Ho invece chiesto il 41 bis per capimafia con più di 80 anni e in precarie condizioni di salute ma la cui testa funzionava - ha concluso il procuratore - ed erano in grado dal carcere di continuare a governare, se non fosse stato applicato loro quel regime».

Poi De Lucia ha affrontato l'altro nodo posto dal tema del convegno, la rete di protezione di Messina Denaro. Capire il «chi, quando e come» della latitanza di Matteo Messina Denaro durata 30 anni, ha detto, è il lavoro che impegna ora la Procura di Palermo. «Ormai - ha aggiunto - dobbiamo parlare al passato. I 30 anni di latitanza ci sono stati e sono i temi sui quali stiamo lavorando». Per il procuratore di Palermo c'è «molto altro lavoro da fare». Ribadendo che Messina Denaro ha «goduto di protezioni a diversi livelli, da chi gli ha procurato la casa a chi lo ha messo nelle condizioni di viaggiare».

A una domanda sulla legislazione antimafia ha risposto così: «Capita che mi si chieda cosa si può fare in più e io rispondo sempre “non fate niente, se non fate niente siamo tranquilli”». Poi ha spiegato: «Il mio timore è quando si vuole cambiare qualcosa, anche in buona fede, senza tenere conto della complessità del sistema». Ed entrando nel dettaglio: «Se uno decide che i reati perseguibili a querela di parte devono aumentare e non si rende conto che tra questi ci sono per esempio il sequestro di persona semplice o le lesioni, spesso manifestazioni della violenza mafiosa, non ci si può aspettare che la vittima vada anche a denunciare. Allora, questa modifica indebolisce l'intero arsenale della legislazione antimafia». La considerazione fatta dal procuratore capo d Palermo è che di certo «nessuno pensa che verrà meno il 416 bis del codice penale», ma che «certamente quando si interviene sugli strumenti del processo penale, occorre considerare che il sistema è talmente complesso che o si fa un intervento radicale, ma completo, oppure si corre il rischio di creare delle distonie, che poi diventano un oggettivo favore alla mafia».

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