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La Cia, la prima guerra di mafia a Palermo e l’agente Salvo Lima

Il giornalista americano Hersh ricostruisce i viaggi di Charles Ford, legato a Bob Kennedy. Lo storico Lupo: «Solo il contesto è verosimile»

Salvo Lima

La prima guerra di mafia a Palermo, quella che oppose i fratelli La Barbera ai cugini Greco e culminò nella strage di Ciaculli, fu voluta da Bob Kennedy e orchestrata dalla Cia, che aveva sul proprio libro paga Salvo Lima: potrebbe essere materia di una nuova fiction quanto scritto dal giornalista investigativo americano Seymour Hersh sul proprio sito sulla base di documenti di intelligence che, va precisato, lo stesso Hersh non ha visto personalmente ma il cui contenuto gli è stato rivelato da fonti della stessa Cia. Divenuto celebre per aver scoperto e raccontato al mondo il massacro di My Lai in Vietnam e da mesi per aver sostenuto la tesi, confortandola con un’inchiesta giornalistica, che a danneggiare le condutture del North Stream sono stati gli Usa, Hersh, è stato insignito nel corso della sua carriera di numerosi premi, tra cui il Pulitzer, ma negli ultimi anni è entrato nel mirino di diverse critiche (fu lui ad accusare i ribelli siriani di aver avvelenato con il gas Sarin un quartiere di Damasco, rovesciando su loro le responsabilità attribuite da gran parte della stampa e della comunità internazionale su Bashar Assad).

L'ossessione di Bob Kennedy

Al centro di quella che il giornalista americano titola come «The Kennedys’ secret sicilian operation» (https://seymourhersh.substack.com/p/the-kennedys-secret-sicilian-operation) Hersh individua Charles Ford, «The Bobby’s man», ovvero un agente della Cia che faceva riferimento direttamente a Bob Kennedy, il ministro della Giustizia la cui ossessione era battere la criminalità organizzata, incarnata, tra gli altri, dal boss Sam Giancana (che ebbe la stessa amante di JFK). Fu Sam Halpern, braccio destro di Richard Hems, capo delle operazioni sotto copertura della Cia nel primi anni Sessanta, a raccontare a Hersh il ruolo di Ford: «Nessuno poteva toccarlo» disse Halpern a Hersh, riferendogli che nel 1962 Ford fece almeno due viaggio al mese fuori da Washington e su diretto ordine di Bob Kennedy. La missione di Ford, scrive Hersh citando quanto gli riferì un’altra fonte dell’intelligence americana qualche anno fa, era mettere zizzania tra le famiglie mafiose in Sicilia, che avevano forti legami con quelle americane. Bob Kennedy aveva avuto un primo confronto con l’arroganza del crimine organizzato durante un confronto diretto con Giancana in occasione di un’audizione del boss al Senato negli anni Cinquanta («Così ridacchiano le ragazzine», disse l’allora senatore al boss, che non rispondeva alle sue domande e sghignazzava). Secondo documenti interni alla Cia, Ford, il cui nome sotto copertura era Rocky Fiscalini, agiva dalla propria stazione a Roma in cooperazione con agenti del Fbi e con la collaborazione dei carabinieri a un intenso programma di intercettazioni di Cosa Nostra. Quest’ultima disponeva di un proprio network di comunicazioni (walkie-talkies e frequenze radio) che i mafiosi consideravano inattaccabile, ma carabinieri e Cia li stavano già ascoltando di nascosto, fin dentro le loro case e nei luoghi in cui venivano organizzati i summit.

Il punto di svolta per Cosa Nostra

Era il momento del punto di svolta per Cosa Nostra, che si accingeva a diventare centrale nel traffico mondiale di cocaina sull’asse con New York. Protagonisti erano, tra gli altri, i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera da un lato e i Greco di Ciaculli dall’altro. Ford e altri agenti fidati di Kennedy, secondo un’analisi della Cia del cui contenuto Hersh ha appreso dalla propria fonte, riuscì a innescare la guerra tra le famiglie, con lo scopo di indebolirle, mettendo in piedi una truffa sui profitti di una spedizione di eroina inviata a New York e che accese la prima guerra di mafia a Palermo. La fonte di Hersh gli disse che era sta la la Cia a organizzare «una manipolazione delle informazioni che giungevano alle famiglie, con l’obiettivo di alimentare la loro paranoia e dare il via a una guerra aperta tra loro». Nelle intenzioni di Bob Kennedy ciò avrebbe indebolito anche le famiglie mafiose negli Stati Uniti. La guerra ebbe l’apice nella strage di Ciaculli, il 30 giugno del 1963, quando l’esplosione di una Giulietta uccise quattro carabinieri. Giunse il momento della pace, voluto anche dalle famiglie americane. Il vertice, scrive Hersh, fu organizzato «dall’allora sindaco di Palermo Salvo Lima in un luogo segreto nell’estate del 1963, ma ciò che la mafia non sapeva era che Lima, esponente della Democrazia Cristiana era stato per anni nel libro paga della Cia, come centinaia di esponenti politici democristiani locali». Fu Lima a dare il via libera all’installazione delle ‘cimicì nella stanza in cui si sarebbe tenuto il summit, e dalle intercettazioni, secondo i documenti della Cia, venne fuori, tra le altre, la frase: «Sono stati gli americani a dare il via alla guerra». «Si parlò di vendetta in diverse discussioni, ma vendetta contro chi?», scrive Hersh riportando le confidenze della fonte. Sebbene, scrive Hersh, fossero stati pronunciati i nomi di JFK e di suo fratello Bob, nessuna azione venne decisa ne loro confronti nè è chiaro se il contenuto di quelle intercettazioni sia mai arrivato alle orecchie del ministro della Giustizia americano. Nè un cenno giunse alla Commissione Warren che stava indagando sull’assassinio di Dallas. Ma Bob Kennedy aveva vinto la «scommessa» contro la mafia - scrive Hersh - e la stampa non ne seppe nulla, poichè «si trattava di un programma della Cia segretissimo, come quello relativo oggi alle infrastrutture petrolifere, dei quali nulla deve essere conosciuto a meno che non sia la stessa Cia o qualcuno all’interno del governo a volerlo far sapere».

Lo storico Lupo: «Solo il contesto è verosimile»

«Il contesto è verosimile, ma il resto è del tutto inverosimile», a meno che questi documenti vengano tirati fuori da chi ne parla. Lo storico Salvatore Lupo - docente di Storia conmporanea all’università di Palermo autorità riconosciuta nello studio della mafia e autore, tra l’altro, del volume "Quando la mafia trovo" l’Americà (Einaudi) - boccia Seymour Hersh, il giornalista investigativo americano secondo cui a volere la guerra di mafia nei primissimi anni Sessanta fu Bob Kennedy con l’obiettivo di indebolire le famiglie italiane e quelle nel proprio paese. «Alcuni aspetti non sono inverosimili - spiega Lupo all’AGI - l’input venne dall’America e veramente ci fu un contrasto interno, nato da un affare andato male. Ma al governo americano non era così evidente in quel momento il collegamento tra la sponda americana e quella siciliana e non interessava tenere sotto osservazione le famiglie siciliane. Non mi pare si vedesse da quel governo una sponda siciliana».

Nell’articolo di Hersh si parla anche di intercettazioni del vertice per la pace tra le famiglie seguito alla strage di Ciaculli, avvenuta nel 1963 e di una collaborazione della Cia con Salvo Lima, che nella ricostruzione di Hersh appare un doppiogiochista tra la mafia e i servizi segreti americani. «Lima - afferma Lupo all’AGI - era un interno alla mafia, anche per relazioni familiari. A libro paga della Cia? Potrebbe anche darsi, ma servono i documenti per verificarlo. Per il resto, ripeto, non mi sembra che gli americani avessero il problema della mafia siciliana, un problema politico talmente rilevante da interessare Kennedy. Tra l’altro, tutti gli ‘scappati dalla guerra di mafia sono andati a finire in America e non mi sembra che qualcuno lì li abbia cercati. Sono stati loro a riannodare i rapporti tra le due sponde». «Verosimile - sottolinea Lupo - è il contesto, il contrasto tra due gruppi, addebitato alla cattiva conclusione di un affare. Nella descrizione degli eventi non vi sono falsità: o lui si è letto qualche libro successivo a quegli eventi o ha davvero trovato qualche documento della Cia scritto in tempo reale, ma bisognerebbe vederlo». La declassificazione di documenti della Cia o di altre istituzioni americane potrebbe portare elementi utili alla ricostruzione della storia della mafia? «Non ci penso e non ci spero - risponde Lupo e non mi risulta che sia mai venuto fuori qualcosa di rilevante da tutti questi documenti di cui si favoleggia. Naturalmente, non lo escludo. In questi casi il giornalista li interpreta, ma queste carte, se esistono, bisogna vederle. Certo, se esistesse un verbale delle intercettazioni - sorride - sarebbe un bel colpo».

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