Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Palermo, il pizzo a Natale Giunta: collaboratore di giustizia scagiona Giovanni Rao

Il tribunale di Palermo

Il pentito Alfredo Geraci, durante un'udienza in un processo a Palermo, a carico di alcuni buttafuori accusati di essere imposti dai clan mafiosi ai locali notturni, risponde ad una domanda dell'avvocato Giovanni Castronovo. E dà una nuova versione dei fatti su un tentativo di estorsione ai danni del ristoratore Natale Giunta, o meglio, sul ruolo avuto da uno degli imputati che poi è stato condannato per quel progetto andato a vuoto. Il pentito dice che Giovanni Rao «oucchi tuorti», «quello di Ballarò», non c'entra nulla con l'estorsione a Giunta, ha avuto inflitti ingiustamente sette anni e otto mesi di reclusione, già passati in giudizio e scontati.

La dichiarazione di Geraci, uno degli ultimi collaboratori del clan di Porta Nuova, avviene in videocollegamento da una località segreta e apre quindi la strada a nuovi scenari giudiziari. Tanto che l'avvocato Castronovo, con il collega Raffaele Bonsignore, ha già quasi pronta la richiesta di revisione del processo a carico di Rao, vittima - secondo le parole del pentito Geraci – di una condanna ingiusta.

«Sì, l’ho detto e lo ribadisco, infatti come dico chi è colpevole dico pure chi è innocente, basta l’ho detto, è innocente», ha spiegato Geraci, deponendo come teste assistito. «Si è fatto 6 anni ingiustamente e ho detto pure chi è che era al posto di lui, che l’hanno scambiato...» è la rivelazione che arriva dopo la domanda dell'avvocato Castronovo.

Tutto parte da un fatto preciso: Castronovo è stato il legale di Rao, e nel procedimento ai buttafuori di Porta Nuova e Bagheria assiste uno degli imputati. Agli atti di un altro procedimento, che si celebra in corte d'Assise, è intanto stata depositata la registrazione di una conversazione tra Geraci e il nipote ed omonimo di Rao. Il dialogo è già iniziato, il file audio che contiene quelle parole viene trascritto e rivela la sorpresa: Geraci dice al giovane Rao che lo zio con quell'estorsione non c'entra nulla.

Così, all'udienza del 30 settembre del processo ai buttafuori «Ribaudo Gaspare + altri», Castronovo cala le sue carte. Davanti al tribunale presieduto da Roberto Murgia, a latere Giangaspare Camerini e Andrea Innocenti, pubblici ministeri Giorgia Spiri e Gaspare Spedale, l'avvocato chiede notizie di Rao a Geraci. «Lei, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero, ha parlato dello zio di Giovanni Rao». Geraci gli chiede: «E che c’entra lo zio con questo...». Il presidente Murgia interviene: «Aspetti la domanda signor Geraci, e quindi la domanda qual è?».

Castronovo: «Sa se aveva un soprannome? Occhi veloci le dice niente?». Risponde il pentito: "No, oucchi tuorti semmai"». L'avvocato lo incalza: «Lui, da quello che lei ha detto al Pubblico Ministero, era stato arrestato e condannato per l’estorsione a Natale Giunta, può ribadire al Tribunale se è stato, se lui diciamo è estraneo rispetto a questa vicenda?». E dopo una precisazione sulla natura della domanda, ecco la risposta di Geraci: «Sì, l’ho detto e lo ribadisco, infatti come dico chi è colpevole dico pure chi è innocente, basta l’ho detto, è innocente, si è fatto 6 anni ingiustamente e ho detto pure chi è che era al posto di lui, che l’hanno scambiato». Quando Castronovo motiva la sua domanda, cioè il suo ruolo passato come avvocato di Rao, Geraci risponde: «E come ho detto nella telefonata se è necessario io andrò a dire la verità che lui non c’entra niente su questa cosa. Io come dico i colpevoli dico gli innocenti. Avvocato io collaboro onesto... con la mafia non ho più niente a che fare». E al presidente Murgia che lo invita ad aspettare altre domande prima di continuare, dice: «Sì mi scusi signor Presidente, non lo sentivo, non lo sentivo mi scusi....».

Rao era stato condannato in via definitiva nel gennaio del 2016. Era stato coinvolto in un secondo momento nell’inchiesta sulle richieste di denaro avvenute nel 2012, quando Giunta gestiva la società di catering Ng Service. Gli emissari del clan chiesero i soldi al ristoratore, lo minacciarono e gli consigliarono di «mettersi a posto». Lo chef, assistito dall’associazione antiracket Libero Futuro, si rivolse alla polizia e denunciò. Dopo la lettura della sentenza di primo grado, nel febbraio 2014, i familiari di Rao inscenarono una rivolta a palazzo di giustizia: diverse donne urlarono improperi all’indirizzo dei giudici.

Caricamento commenti

Commenta la notizia