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Palermo, la Procura insiste per il sequestro dei beni di Dell'Utri

Marcello Dell'Utri

Di chi erano quei soldi? Tanti, troppi, una marea di denaro quello che è stato trovato a Marcello Dell’Utri, fra titoli, conti, immobili, società, aziende, partecipazioni azionarie: la Procura di Palermo riteneva che ci fosse una sproporzione tra le capacità di produrre reddito e quelle ricchezze, ma il Tribunale dice di no al sequestro finalizzato alla confisca. E così, per stabilire se ci siano beni di provenienza illecita, acquisiti grazie a Cosa nostra, fra quelli dell’ex senatore e co-fondatore di Forza Italia, si andrà in appello. I pm infatti non si arrendono e, con motivazioni che in parte coincidono - concettualmente - con quelle della Procura generale nell’impugnazione della sentenza Stato-mafia, hanno fatto ricorso contro la decisione della sezione misure di prevenzione del Tribunale. Decisione che risale alle scorse settimane ma di cui si è appreso solo ieri.

Un lavoro lungo e complesso, quello del pool coordinato dall’attuale procuratore facente funzioni, Marzia Sabella, per ricostruire la rete - meglio, la galassia - di interessi finanziari che fa capo a Dell’Utri, con intrecci continui con l’amico Silvio Berlusconi, da cui arrivano beni, donazioni, rimesse di denaro e passaggi di utilità sotto svariate forme. Il collegio presieduto da Raffaele Malizia ha però ritenuto mancanti i collegamenti diretti e i riscontri dell’illiceità, la volontà di Berlusconi di «retribuire» l’amico. Anche se proprio le cointeressenze fra i due e il ruolo che l’ex delfino avrebbe svolto nei confronti del capo - intermediario, garante di accordi inconfessabili e protettore rispetto alle pretese di Cosa nostra - avevano indotto i pm Gery Ferrara (oggi alla Procura europea) e Claudio Camilleri, a ritenere che il fondatore di Fininvest non fosse stato immotivatamente generoso nelle sue cospicue liberalità, nei confronti dell’amico palermitano. Dell’Utri (oggi difeso dagli avvocati Francesco Centonze e Francesco Bertorotta) è stato condannato proprio per queste ragioni, a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa: la pena l’ha scontata e poi era stato condannato anche in primo grado a 12 anni nel processo Trattativa, condanna cancellata a settembre 2021 e ora di nuovo sub judice, col futuro processo in Cassazione.

Le ragioni delle due condanne e poi delle indagini patrimoniali erano sempre dello stesso segno, nello stesso senso: emissario dei boss, capace di garantire affari e sicurezza a Berlusconi, indagato pure lui per concorso esterno ma poi archiviato, per mancanza dell’ultimo passaggio, la prova del coinvolgimento diretto e in prima persona. A nulla però sono approdate, sul piano della possibile illiceità del patrimonio, le minuziose indagini della Direzione investigativa antimafia di Palermo, avviate subito dopo la cattura (in Libano, dove era fuggito) dell’esponente azzurro.

Uno degli episodi chiave, che avevano portato ad accertamenti anche nei confronti dei figli e di Miranda Ratti, era legato proprio all’intervento della moglie dell’ex senatore in un affare finito al centro di un’altra indagine, aperta a Palermo, trasferita a Milano e archiviata: nell’estate 2012 fu ipotizzata un’estorsione di Dell’Utri ai danni di Berlusconi. Poco prima del 9 marzo di dieci anni fa, cioè a ridosso del giorno in cui la Cassazione avrebbe potuto rendere definitiva la condanna (che invece in quella occasione fu annullata con rinvio), una lussuosa villa sul lago di Como, appartenente all’allora senatore, fu venduta a Berlusconi a un prezzo ritenuto sovrastimato. I 21 milioni frutto di quell’affare sparirono a Santo Domingo. La moglie dell’allora imputato fu indagata per riciclaggio. Ma poi l’inchiesta si chiuse. Per riaprirsi sotto altra forma.

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