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Il boss che va in bici e non usa il telefonino, a «Giovannello» Adelfio la leadership di Villagrazia

Nella foto grande l'intercettazione del colloquio fra Sandro Capizzi e Salvatore Freschi. Nei riquadri Giovannello Adelfio (sopra) e Sandro Capizzi

«Vedi che la responsabilità di capomandamento è grossa». Le intercettazioni sugli affari dei clan e i loro progetti di riorganizzazione confluite nell’ultima inchiesta antimafia condotta da Dda di Palermo e carabinieri svelano riunioni e summit tra boss per definire gli incarichi al vertice delle cosche di Santa Maria di Gesù e Villagrazia. La leadership del gruppo criminale sarebbe stata assegnata a Giovanni Adelfio di 58 anni, un incarico del quale parlano personaggi del calibro di Giuseppe Scaduto e Sandro Capizzi, già detenuto e anch’egli coinvolto nel blitz. Colloqui nei quali si fa riferimento ai «rapporti tra le diverse famiglie e tra gli esponenti di vertice», oltre alla «volontà di giungere, una volta sistemati i mandamenti, alla fondazione di una nuova Commissione provinciale». Un progetto più volte sventato in presa diretta dagli inquirenti.

Adelfio, detto Giovannello, finito in manette nel blitz di due giorni fa assieme ai parenti Mario e Salvatore, è figlio e nipote di uomini di rango in Cosa nostra ed è già stato condannato per 416 bis. Ritenuto al vertice della cosca di Villagrazia, della quale avrebbe preso le redini dopo la scarcerazione, può contare tra i suoi congiunti anche grandi trafficanti di droga. Si tratta di un «uomo d’onore» che sembra avere applicato alla lettera i principi di prudenza e riservatezza, anche per sfuggire alle trappole degli investigatori. Gli specialisti del Ros, così come messo nero su bianco dal gip Fabio Pilato nell’ordinanza di custodia dell’operazione Navel, hanno affrontato «considerevoli difficoltà oggettive, causate dalla particolare prudenza che ha sempre caratterizzato Adelfio, metodicamente proiettato a passare le giornate all'interno dei suoi poderi, poco propenso ad utilizzare apparecchi telefonici e tecnologici, addirittura abituato a muoversi più frequentemente in sella alla propria bicicletta o a bordo di autobus».

Una prudenza applicata in modo ancora più grande dopo l’arresto e la collaborazione con la giustizia del boss di Belmonte Mezzagno Filippo Bisconti. «In ogni caso - sostiene il giudice - alcune attività tecniche autorizzate hanno permesso di accertare come di fatto Giovanni Adelfio ha comunque perpetuato le proprie relazioni con gli uomini d’onore del mandamento d’appartenenza».

Gli incontri riservati

Gli inquirenti citano un incontro riservato tra Sandro Capizzi e Salvatore Freschi in via Albiri in cui si parla di somme di danaro da riscuotere e del ruolo di Giovanni, che, secondo l’accusa, sarebbe Adelfio. «Tu dici in settimana... in questi giorni me li dai!... Io ho visto a Giannuzzo pi pigghiarimi un pochettino… qualchi cusuzza. Ho detto: “Giova’, a mio padre e a mio fratello ci pensiamo noi perché è la verità... ci sto pensando io... quando avete bisogno mi cercate, quando ho bisogno ti cerco”». I carabinieri documentano incontri tra Adelfio e il giovane Capizzi, il proposito di dare una lezione a un uomo che non voleva pagare: «L’acchiappamu e nu purtamu, che m… ce ne fotte questo a nuddu avi».

Il matrimonio e la famiglia

Le alleanze tra le famiglie e i rapporti di sangue sono tutto per mantenere il rango mafioso e nelle centinaia di pagine dell’ordinanza di custodia il giudice si sofferma sulle nozze, celebrate il 20 giugno del 2018 nella chiesa di Santa Maria della Pietà alla Kalsa, tra il figlio di Mario Adelfio, fratello di Giovanni, e la nipote dello scomparso Francesco Paolo Barone, affiliato alla cosca di Pagliarelli. Quel giorno Capizzi, parlando con la moglie, dice di non avere visto Giovannello né la madre né la sorella («l’uomo è celibe ed è convivente con la propria madre e la sorella nubile», scrive il giudice). In realtà Adelfio sarebbe giunto con le congiunte nel locale in cui si sarebbe svolto il ricevimento. Un’occasione che consente ai carabinieri di documentare la presenza di nomi pesanti nel panorama di Cosa nostra. Ecco chi c’era, così come riportato nell’atto d’accusa: oltre agli Adelfio e a Capizzi, ci sono Francesco Paolo Bontade, figlio di Stefano e cognato dello sposo; Cosimo Vernengo detto Pennacchione, cugino dello sposo, già reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù; Tommaso Greco, figlio di Carlo, storico reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù assieme a Pietro Aglieri; Antonino Nicolini, ritenuto un trafficante di droga vicino a Capizzi.

Giovanni Adelfio e Sandro Capizzi si sarebbero poi incontrati nel marzo del 2019 in un’aula del tribunale in cui era in corso un’udienza del processo Brasca. Contatti e incontri che hanno fatto scattare la nuova ordinanza di custodia cautelare per il presunto reggente della famiglia di Villagrazia.

 

 

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