«Sento ancora l’odore di bruciato, di zolfo, che invase tutta l’aria intorno dopo l’esplosione. Quando arrivammo sul luogo della strage c'era tanta polvere e i corpi di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo ancora vivi quando li estrassero dall’auto. Di morti ne avevo già visti, ma quel giorno fu diverso. Da quel giorno la mia vita è cambiata, come quella di tutti i palermitani». A parlare è il brigadiere barese Nicola De Felice, oggi in servizio come polizia giudiziaria nella cancelleria del procuratore di Bari, ma all’epoca della strage di Capaci giovane carabiniere, 23 anni, in servizio come autista del comandante del gruppo Palermo 2 dei carabinieri.
Nel trentennale della strage, Nicola De Felice torna con la memoria a quel giorno. «Ero a Palermo da qualche anno. Ricordo Paolo Borsellino - dice - che in dialetto siciliano mi chiamava “figghiu miu”, con la sigaretta in mano e la sua stanza piena di fumo. Falcone invece era più chiuso, inarrivabile, già da tempo sotto scorta. Quel sabato pomeriggio, una giornata caldissima come oggi, ero con il mio comandante quando all’improvviso squillò il telefono. Era l’operatore di centrale che con voce agitata ci avvisava della strage e ricordo l’immagine del mio colonnello che camminava parlando al telefono spaventato e incredulo».
Nicola De Felice è barese come lo era Rocco Dicillo, uno degli agenti della scorta morti nell’attentato. «Ho avuto paura - racconta - , ho capito che la mafia non si sarebbe fermata davanti a nessun ostacolo, e ancora di più dopo l’uccisione di Borsellino, che era una guerra. Ma da quel giorno anche la mia vita è cambiata - dice - , come per tutti i palermitani. La gente è davvero scesa in strada per ribellarsi, il coraggio di manifestare contro la mafia cominciò quel giorno. E oggi raccontare per non dimenticare è importantissimo, perché quel sacrificio deve essere di esempio».
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