Era il 2019 quando Maurizio Di Fede, uno dei 31 arrestati nel blitz contro il mandamento di Ciaculli-Brancaccio a Palermo, vietò a una bimba di 7 anni di partecipare a una manifestazione contro la mafia per ricordare i giudici Falcone e Borsellino, un evento per il quale la piccola si preparava con i compagni di scuola da un mese. «Non ci immischiamo con i carabinieri, non ci immischiamo con Falcone e Borsellino», disse bruscamente alla mamma. Il dialogo era stato registrato nelle intercettazioni rilasciate dalla polizia.
Per il boss della famiglia di Roccella non era concepibile che la bimba partecipasse all'evento: «Io mai gliel’ho mandato mio figlio a queste cose». A distanza di oltre 3 anni, Di Fede, ritenuto lo stratega della famiglia mafiosa che fa parte del mandamento di Brancaccio, è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Chi è Maurizio Di Fede
Maurizio Di Fede, 53 anni, detto Ciuffetto, è uomo d'onore, figlio del defunto reggente della famiglia mafiosa di Roccella, Lorenzo Di Fede. La sua scalata nel mandamento, secondo gli investigatori, gli ha permesso di raggiungere i più alti gradini della scala gerarchica, assumendo un ruolo di primo piano. Il boss avrebbe infatti partecipato alle riunioni con gli altri vertici della famiglia diventando uno dei responsabili operativi.
Dalle indagini emerge la disponibilità di armi da fuoco pronte all'uso e un ruolo rilevante nel traffico di droga con capacità organizzative. Di Fede, in sostanza, sarebbe stato a capo di un'organizzazione riferibile alla famiglia della Roccella, che avrebbe fatto affari con i carichi di cocaina ed eroina. La famiglia mafiosa, infatti, nei primi mesi del 2019 avrebbe messo al centro dei propri interessi il business della droga, creando un'associazione per delinquere strutturata che aveva nello stesso Di Fede e in Tommaso Nicolicchia i promotori e gli organizzatori e in Giuseppe Ciresi e Onofrio Claudio Palma gli uomini di fiducia. Le indagini hanno permesso di individuare anche alcuni tra i diversi canali di rifornimento non solo nel territorio palermitano ma anche in Calabria.
Dalle carte dell'inchiesta risulta la disponibilità di armi da parte dell'organizzazione di Roccella, come emerge anche da alcuni dialoghi intercettati. In una conversazione Di Fede, Ciresi e Palma si soffermavano a parlare di una pistola a tamburo che possedevano, esaltandone le qualità l'efficienza e l'affidabilità. «Ma come? Dici che questa è una bomba!», diceva Ciresi. «Quella è un gioiellino! Non puoi perdere mai!», rispondeva Palma. «No, con quella non sbagli mai!», aggiungeva Di Fede.
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