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Covid, l'infettivologo Antonio Cascio: "Mia moglie mi diceva che ero troppo esposto"

L'infettivologo Antonio Cascio

Antonio Cascio, infettivologo, docente universitario, primario al Policlinico di Palermo. Negli ultimi due anni ha elargito notizie, rassicurazioni, consigli e messo in guardia sui rischi del Covid. Un punto di riferimento per i pazienti e anche per la stampa che ha spesso fatto ricorso a lui per conoscere le novità su vaccini o nuove varianti.

Come è cambiata la sua vita con la pandemia?

“Ho dedicato sempre molto tempo al mio lavoro: didattica, ricerca, assistenza. Da quando è cominciata l’epidemia ho cominciato a buttarmi a capofitto, come è normale, sulle varie pubblicazioni che venivano fuori per capire ancora meglio e ancora di più”.

Nonostante l’esperienza, ha mai pensato “ma che sta succedendo”?

“Non esattamente. Nelle prime interviste ero piuttosto ‘terrorista’, perché non capivo perché non si intervenisse sin dall’inizio, quando già in Cina si stava già diffondendo l’epidemia. Già nei primi mesi del 2020, in una conferenza, avevo parlato di esercito e ospedali da campo. Non tutti mi credevano”.

Ha mai avuto paura?

“C’era qualcosa che non si conosceva e che, sì, faceva paura. Ci chiedevano se eravamo pronti e noi cercavamo di rassicurare ma non c’erano molte mascherine a disposizione, non c’erano abbastanza stanze attrezzate, né medici. E poi le indicazioni del ministero non sempre erano aggiornatissime. Nelle prime linee guida ci si limitava a consigliare ai medici l’uso di semplici mascherine chirurgiche”.

In famiglia come l’hanno presa?

“Anche mia moglie è un medico (Chiara Iaria, primario di Malattie infettive all’ospedale Civico di Palermo, ndr) e ha non vedeva di buon occhio la mia esposizione mediatica. Ma io, anche se fondamentalmente sono timido e schivo, sentivo gente che parlava sapendo poco o nulla dell’argomento. Ho interpretato la mia presenza su giornali e televisioni come un dovere morale”.

E i colleghi?

“Ho anche subito in questi anni: invidie, gelosie, “pugnalate” che non mi aspettavo. C’è stato poi l’attacco dei no vax...”.

Una storia che le è rimasta particolarmente impressa?

“Ci sono stati pazienti con cui mi sono inevitabilmente sentito e con cui ho avuto la possibilità di confrontarmi. Qualcuno che si è infettato in ambito ospedaliero, qualcuno che è stato vittima di ciò che stava accadendo. Perché soprattutto all’inizio il sistema aveva qualche falla”.

Cosa le lascia di buono questa esperienza?

“Sicuramente la macchina organizzativa partita all’inizio a rilento ma che poi ha funzionato soprattutto per l’intervento domiciliare delle Usca. E poi che c’è sempre qualcosa da studiare, da approfondire da sapere”.

Quando finirà tutto questo, quando torneremo alla normalità?

“Sarei per tornarci da oggi alla vita normale. Il virus adesso è sicuramente più ‘buono’: continuiamo a proteggere anziani e fragili ma torniamo a vivere con serenità”.

La quarta dose la faremo tutti?

“Penso di sì, auspicando che arrivi presto il vaccino con antigeni specifici e aggiornati per le ultime varianti”.

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