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Palermo, una donna coinvolta nelle truffe degli spaccaossa: «Ero disperata, dovevo pagarmi le cure»

Ha detto sì agli spaccaossa perché non aveva i soldi per affrontare le cure oncologiche ed accudire il figlio di sette anni dopo la separazione dal compagno. Una condizione di estrema difficoltà che l’ha spinta a trovare il coraggio di sottoporsi alla tortura delle fratture provocate con grossi mattoni e a simulare l’incidente. Nelle agghiaccianti parole di una donna, che avrebbe ricevuto circa duemila euro a fronte di un indennizzo di 45 mila, c’è una fetta di una Palermo dolente, afflitta dalla miseria e dalla disperazione.

Il suo racconto drammatico è finito agli atti dell’inchiesta: «Mi sono prestata a questo, costretta dalla necessità di fare fronte a un momento di difficoltà economica estrema dovuta al fatto che mi sono trovata sola, separata dal mio compagno, a mantenere il mio bambino, senza potere pagare l’affitto della casa dove vivevo con il bambino, senza potere pagare le cure costose legate alla mia malattia oncologica per la quale sono stata operata tra il 2015 e il 2016, con l’asportazione del collo dell’utero. Anche dopo l'operazione si sono rese necessarie queste cure costose e ancora faccio controlli ogni sei mesi».

La donna ricostruisce le fasi che la porteranno, assieme a un’amica, in una casa dell’Acquasanta, borgata marinara di Palermo, per farsi rompere le ossa e poi in via Castellana Bandiera, sul luogo del finto incidente il 9 febbraio del 2017: «Quella mattina io e la mia amica siamo andate con l’autobus all’Acquasanta, dove c’erano ad attenderci due uomini di circa 45-50 anni. Salite sull’auto di uno di questi, tutti e quattro siamo andati presso una casa che si trova poco distante dal luogo dove poi abbiamo inscenato il finto incidente. Entrati dentro questo appartamento, che era vuoto, sempre i due uomini ci hanno messo del ghiaccio per anestetizzare a me il braccio e alla mia amica la gamba destra. Dopo circa un’ora, ci hanno fatto distendere a terra, mentre uno di questi è uscito, l’altro è rimasto e mi ha colpito al braccio con dei blocchetti di cemento di colore rosso. Io avevo il braccio appoggiato tra due sostegni e mi hanno fatto mettere a pancia sotto, mentre non saprei della mia amica perché dopo avere colpito me sono uscita dalla stanza. Ultimato, ci hanno messo in auto e ci hanno portato sul luogo del finto incidente, dove abbiamo trovato un uomo che non saprei descrivere e che non ho più rivisto e una macchina di colore grigio che hanno portato loro e che è servita per simulare l’incidente».

La donna ricorda poi del ruolo di un indagato, Matteo Corrao, e di un tramite per prendere parte al macabro rito degli spaccaossa, che sarebbe stato un transessuale. «Matteo mi ha detto che se mi avessero chiesto se lo conoscevo avrei dovuto negare - mette a verbale la vittima -. A questo punto voglio liberarmi e voglio dire la verità. L’incidente non è avvenuto per strada dove abbiamo indicato, e Corrao lo conoscevamo da prima dell'incidente». La donna non nasconde la sua paura a causa della denuncia: «Ho paura per me e per la mia famiglia, io ho un figlio e temo anche per lui».

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