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Palermo, il pentimento dell’avvocato Del Giudice: «Ho sbagliato, chiedo perdono»

Pietro Formoso (a sinistra) consegna il pizzino all’avvocato Alessandro Del Giudice, che lo occulta dentro la sua cartellina

«Mi sono reso conto di avere sbagliato e me ne sono pentito, essendo andato oltre il mio incarico professionale. Sono pentito nei confronti della collettività e anche dell’ordine professionale a cui appartengo. Chiedo perdono anche per la mia famiglia e per i miei figli figli». Comincia così il primo verbale di interrogatorio depositato dai magistrati che stanno sentendo le dichiarazioni dell’avvocato Alessandro Del Giudice, che dal 4 ottobre ha deciso di collaborare con la giustizia.

Il penalista, originario di Napoli ma che esercita l’attività a Palermo, sta parlando davanti ai pubblici ministeri della Dda del capoluogo siciliano, Gaspare Spedale e Giorgia Righi. Dai verbali si evince che l’avvocato, assistito dal legale Monica Genovese, ha deciso di fornire nomi e cognomi e rispondendo alle domande dei magistrati sta spiegando ruoli e vicende di sua conoscenza. Il suo arresto risale a fine settembre nel corso di un'operazione condotta da carabinieri e guardia si finanza su un grosso giro di prestiti a strozzo: è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e usura. Il legale ha già dato indicazioni ai pm sul giro d’affari degli usurai e sul suo rapporto con il boss di Misilmeri Pietro Formoso. Del Giudice, per l’accusa, avrebbe portato i suoi messaggi fuori dal Pagliarelli, vicenda per la quale venne indagato 3 anni fa dopo essere stato ripreso mentre riceveva i pizzini durante i colloqui in carcere.

I rapporti con Pietro Formoso

«Conobbi Pietro Formoso nel 1997-1998 quando ero ancora praticante - si legge nei verbali - e avevo il patrocinio per i reati di competenza pretorile. Lui si occupava di vendite fallimentari e vendite di oggetti d’oro. Me lo presentò Pietro Bisconti, fratello di Filippo. Formoso mi chiese se potevo difendere il fratello Giovanni, io all’epoca non potevo e gli presentai il mio dominus... Per un po’ non lo rividi più...». Il penalista dice ai magistrati di essere andato a lavorare a Napoli dal 2004 e di essere rimasto in quella città per diversi anni, per poi rientrare a Palermo, dove nel 2009 ha aperto uno studio con una collega.

«A fine 2012, inizi 2013, rividi Pietro Formoso in una macelleria di Salvatore Alvares - è scritto nei verbali - e lui mi iniziò a portare alcune pratiche inerenti a alcuni soggetti come Torcivia, Fortunato, Russo, che a sua volta mi presentò Gaspare Sorrentino, fratello di Salvatore, tutte pratiche con problemi che spaziavano dal penale al civile». Del Giudice spiega: «In questa fase la mia interlocuzione con il Formoso era di tipo professionale». Poi «nel 2013 ha iniziato a darmi del tu e mi ha chiesto di seguire il fratello Giovanni che aveva ormai l’ergastolo ed era stato al 41 bis e in quel momento aveva gravi problemi di salute. Io così ho iniziato a seguire il fratello dal 2013».

Il presidente di Cassazione

Fu Giovanni Formoso a chiedere di parlare con il fratello Pietro perché «c’era un avvocato che poteva risolvere tutti i problemi in Cassazione» che «avrebbe potuto corrompere il presidente della sezione della Cassazione che si occupava del giudizio di revisione». In effetti, da quanto si evince dalla documentazione, Del Giudice incontrò quell’avvocato sul lungomare di Salerno. «Mi disse che il presidente era andato in pensione da poco - è messo a verbale - e che comunque queste cose non le faceva anche perché la moglie è commissario di polizia. Ho parlato di questo rifiuto con Pietro Formoso che mi ha detto: lascia stare, poi si vede». In seguito il rapporto diverrà più stretto. «Con Pietro Formoso - aggiunge Del Giudice - poi è nata una amicizia, ci prendevamo il caffè al bar. Lui giocava 400-500 euro di gratta e vinci. Aveva una grandissima disponibilità economica, era un imprenditore, sapevo che era vicino ad ambienti criminali, ma all’epoca non sapevo che era mafioso...»

I capretti non pagati

«Un giorno mi ha chiesto di accompagnarlo in un deposito di carni a Misilmeri - c’è scritto nei verbali -. Da lì è uscito suo figlio. Io sono rimasto in macchina e poi ce ne siamo andati. Nel periodo di Pasqua 2013 doveva ordinare 20 capretti che poi regalava. Non li pagava, non l’ho visto mai pagare...».

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