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Palermo, denunciò il pizzo: ora riceve lettere con croci e minacce di morte

Sposato e con due figlie, l'imprenditore teme il peggio e chiede protezione come testimone di giustizia

Lettera minatoria al commerciante che ha denunciato il pizzo

Quattro croci, in sequenza, disegnate su un foglio bianco recapitato via posta all’indirizzo che nessuno dovrebbe conoscere. Perché, ed è la terza casa cambiata in fretta e furia negli ultimi quattro anni, Giuseppe Balsamo, 51 anni, il commerciante della Noce che ha denunciato le richieste di pizzo in un quartiere dove la mafia e l’omertà regnavano sovrane, è diventato un facile bersaglio mobile assieme a tutta la sua famiglia: lui, la moglie e le due figlie piccole. Quattro, appunto, come quelle annunciate condanne a morte segnate sull’ultima lettera ricevuta alla fine della scorsa settimana. Meno di un anno fa, altre due con toni minacciosamente espliciti: «Sei morto...». Le buste sono tutte nelle mani della polizia scientifica che ha fatto i rilievi sulla cassetta della posta depositaria dei messaggi anonimi. «Sanno tutto, loro - dice Balsamo -. Non abbiamo scampo se decidono di farci del male».

Si è affidato all’ex magistrato Antonio Ingroia (ora fa l’avvocato) per rivolgersi a quella giustizia che ha aiutato a mettere in carcere i suoi estortori (ben 11 finiti nella retata di maggio 2018), ma dalla quale si sente abbandonato. Il commerciante vittima del racket chiede da un anno di avere riconosciuto lo status di testimone di giustizia per potere entrare quindi nel sistema di protezione che gli consenta di ritrovare la vita perduta. Al momento deve fare i conti con gli avvisi di sfratto e con la mancanza di lavoro. Oltre alla paura costante di vedere diventare realtà le ritorsioni promesse nei fogli.

«La mia vita inizia e finisce a giugno del 2014. Mentre ero in fase di ristrutturazione del locale in via Noce - racconta l’imprenditore coraggio -  ed è arrivata la prima richiesta di pizzo. È cominciata la continua rincorsa per non farmi trovare, per non incontrare chi mi assillava, sperando che nessuno mi venisse più a chiedere i 3 mila euro per potere lavorare». La sera del 16 luglio era comparso l’attak nella serratura della saracinesca della sua attività di compro oro. «Io e mia moglie, senza dubitare neppure un attimo - dice - ci siamo presentati spontaneamente alla squadra mobile per fare la denuncia di quello che ci stava succedendo, allegando i video delle nostre telecamere e le riprese del mio cellulare». Da quel momento non si era presentato più nessuno, ma la tregua è solo una illusione. Cosa nostra non molla così facilmente. Il livello di violenza, intimidazione e minaccia aveva raggiunto il suo apice nella notte tra il 12 ed il 13 settembre dello stesso anno. Balsamo e la moglie avevano subito prima una rapina e poi erano stati costretti ad assistere, legati e imbavagliati, al rogo appiccato alla loro villetta.

«Ora vediamo se ti scanti...», aveva detto l’aguzzino alla coppia per convincerla a versare alla famiglia mafiosa della Nola una quota a titolo di «messa a posto» ed autorizzazione all’apertura dell’esercizio commerciale. Durante la rapina, tra l’altro, erano stati sottratti dalla cassaforte della camera da letto diversi preziosi, denaro e un orologio Rolex poi oggetto di ricatto per la restituzione. Dal 22 maggio 2018, data dell’arresto degli estortori, Giuseppe Balsamo e la moglie hanno iniziato a vivere in uno stato di paura che li ha portati a limitare le uscite solo a quelle necessarie e a cambiare casa.

Gli è stata negata la richiesta di porto d’armi con la motivazione che era oggetto di un servizio di vigilanza generica radiocollegata. Ma il vero incubo è iniziato a gennaio del 2020 con l’assoluzione e la scarcerazione di uno degli imputati che aveva mandato in cella con le sue dichiarazioni: «Da quel momento inizio a prendere coscienza che mi trovo chiuso dentro una bolla, che io chiamo la bolla dell’antimafia - dice Balsamo -. Sto pagando un prezzo carissimo per essere un padre di famiglia rispettoso delle leggi. Qual è il messaggio che si vuole trasmettere ad un imprenditore che viene abbandonato, si vuole veramente combattere la mafia e proteggere chi denuncia? Io confido nella parte sana dello Stato. Ogni giorno rischio la vita, lo so io quando esco dal portone di casa come mi sento e cosa mi potrebbe succedere. È una sensazione così snervante fastidiosa e incomprensibile, ma finché avrò fiato non mollo perché le Istituzioni sono io. Eppure ogni sera quando metto la testa nel cuscino è una sconfitta pensando al silenzio dello Stato...».

Sono due le istanze di Balsamo già inoltrate alla procura, che dovrebbe dare l’impulso all’eventuale procedimento che gli riconosce protezione o aiuto economico. La prima è stata presentata da Ugo Forello, la seconda mesi fa dagli avvocati Antonio e Marco Ingroia che rimarcano la chiara condizione di pericolo nella quale vive l’ex imprenditore. La normativa di riferimento è quella attuata per i collaboratori di giustizia che ha applicazioni variegate: si va dalla scorta, agli aiuti economici, fino ad una nuova identità nei casi più gravi. «Aldilà della decisione, che sia favorevole o negativa, il silenzio da parte della procura è un atto di insensibilità verso chi sta vivendo una situazione così difficile - dichiara l’ex magistrato -. Eppure, Balsamo ha denunciato ed è stato testimone attendibile contro la mafia. Ritengo che ci sia un vuoto di intenzioni che si deve colmare. Se non deve rientrare nel sistema di protezione, ce lo dicano. Ma spiegandoci anche i motivi...».

 

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