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Giovanni Brusca, in un'intervista video chiede scusa ai familiari delle vittime: "Ho creato dolore"

In una video intervista, rilasciata 5 anni fa a Zek e Arte France, Giovanni Brusca chiede scusa ai familiari delle vittime. "Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso (di farlo) per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell'anima [che è nata l'intenzione] di farlo. Di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere".
Nell'intervista pubblicata col video inedito dal sito del Corriere della Sera e dalla Stampa, il mafioso stragista, pentito parla col volto coperto.

L'uomo che si è autoaccusato di aver premuto il telecomando che fece esplodere il tritolo che provocò la strage di Capaci, già in altre occasioni, soprattutto durante i processi, dopo la sua collaborazione, che all'inizio fu controversa, aveva chiesto perdono ai familiari delle vittime e allo Stato. L'ultima volta nel febbraio 2019 deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio a Palermo disse. "Chiedo perdono a tutte le vittime di mafia".

"Ho cercato (in questi anni da collaboratore di giustizia) - dice Brusca nell'intervista video - di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia. E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana. Perché consente di mettere fine a questo, Cosa nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un'agonia continua".

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