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Pizzo ai commercianti bengalesi di via Maqueda e Ballarò: confermate 7 condanne, i nomi

La quarta sezione della corte d’Appello di Palermo ha lievemente ridotto le pene agli imputati del processo per una serie di estorsioni e intimidazioni - di stampo mafioso e con l’aggravante dell’odio razziale - ai danni di commercianti bengalesi che lavorano nel centro del capoluogo siciliano, nel popolare mercato di Ballarò.

I giudici di secondo grado hanno confermato l’impostazione accusatoria, che aveva portato alle condanne del 5 aprile 2019 da parte della terza sezione del tribunale. Rispetto al primo grado però è stato dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Giacomo Rubino, che aveva avuto 3 anni: ora l’accusa contro di lui è stata derubricata da lesioni in percosse e il collegio ha rilevato la mancanza di querela, condizione di procedibilità.

Gli altri sono stati invece tutti condannati, anche se ci sono state parziali assoluzioni che hanno portato a un calo delle pene: Emanuele Campo e Alfredo Caruso hanno avuto 5 anni e 6 mesi ciascuno, Giovanni Castronovo 6 anni e 10 mesi (ne aveva avuti sette), Carlo Fortuna 3 anni e 8 mesi (4 anni, in tribunale), Emanuele Rubino 9 anni e mezzo (13 anni e 9 mesi), Giuseppe Rubino 9 anni, 5 mesi e 15 giorni (13 anni), Santo Rubino 8 anni e 5 mesi.

Fra i Rubino, Emanuele risponde - ma in un altro processo - anche del tentato omicidio di Yusupha Susso, un gambiano ferito con un colpo d’arma da fuoco alla testa.

In sostanza, secondo la ricostruzione dell’accusa, nel 2016 gli uomini del clan di Ballarò avrebbero cercato di imporre ai cittadini stranieri la loro legge, fatta di intimidazioni e minacce per far pagare il pizzo. I bengalesi, accompagnati dai rappresentanti delle associazioni antiracket, tra cui soprattutto Addiopizzo, si erano rivolti ai carabinieri e avevano denunciato i fatti, portando la Procura a chiedere e ottenere prima gli arresti e poi le condanne degli appartenenti al gruppo.

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