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La vittoria di Giangiuseppe sul coronavirus: "Notti insonni e l'affetto dei medici"

I primi sintomi, la quarantena in casa e poi l'inevitabile ricovero. Sono queste le tappe della battaglia vittoriosa del palermitano Giangiuseppe Gattuso contro il coronavirus, iniziata il 15 marzo e finita circa un mese dopo, il 18 aprile.

"Tutto inizia con leggeri malesseri. Niente di eclatante che non si possa ricondurre a qualcosa di passeggero.
Anche se queste fastidiose sensazioni mi accompagnavano da qualche giorno. Ben prima della botta pesante e insidiosa che mi ha colpito investendomi frontalmente che si manifesta domenica 15 marzo 2020. Ho bisogno di stare sdraiato sul divano e coperto dal mio plaid. Freddo, doloretti sparsi, malessere profondo e poi lei, la febbre. Ecco il segnale preciso - racconta Gangiuseppe -, che però con la tachipirina da 1000 ogni otto ore si attenuava e mi fa faceva stare meglio. La sensazione strana che mi avvolgeva era qualcosa di mai sentito prima: la febbre saliva, il termometro superava facilmente i 38, con punte di oltre 39 che perduravano e stavo male, malissimo".

Febbre alta e persistente, costanti dolori ma non compaiono né tosse né mal di gola che non lasciano pensare ad altro che ad una semplice sindrome influenzale. Ma i giorni passano e si rende inevitabile il test con tampone rinofaringeo, doloroso e fastidioso tanto che "sono quasi svenuto". Il 23 marzo è il giorno dell'esito che si rivela purtroppo, ma prevedibilmente, positivo. "Sento un brivido - dice -, ma me l’aspettavo. Mi vengono pure indicate le linee di comportamento da tenere in casa nei confronti dei membri della famiglia".

Trascorrono soltanto tre giorni, respirare diventa difficile e il 26 marzo viene disposto il trasferimento in ospedale. "L’ambulanza del 118, dopo numerose telefonate e notevole perseveranza, finalmente mi ha prelevato e trasferito al Civico di Palermo, reparto Pneumologia appositamente trasformato in unità speciale Covid 19, “degenza C”, così si chiama la stanza, ampia, confortevole, con il bagno e una bella finestra. Arrivo con insufficienza respiratoria acuta con polmonite interstiziale bilaterale da Sars-Cov-2 confermata dalla Tac eseguita poco dopo - continua a raccontare -. È l’inizio della decisiva, durissima battaglia per la vita".

Le notti in ospedale sono lunghe, inquiete e lasciano spazio soltanto agli incubi e all'angoscia. "Sensazioni terribili, momenti che vorrei dimenticare ma non ci riesco. Non ho mai sofferto d’insonnia, anzi, è sempre stato uno dei miei punti di forza per affrontare le giornate dopo un sonno ristoratore. Qui è cambiato tutto".

Sdraiato su un letto il tempo è scandito solo "dai suoni che ho imparato presto a conoscere. Quello tipico, una sorta di bip bip inconfondibile, della macchinetta per i controlli della pressione, dell’ossigeno, e della temperatura. Quello dello stridio delle ruote del carrello della colazione che sembrava proprio una frenata di automobile. Le voci di medici e infermieri, degli addetti alle altre mansioni, dai rumori esterni".

Ma la degenza in ospedale non è stata accompagnata solo da brutti ricordi. Ad accoglierlo non ci sono stati semplici medici, infermieri ed operatori sanitari ma una seconda famiglia che si è fatta in quattro per curarlo ed alleviare i suoi dolori. Non dimenticherà mai "la loro gentilezza, l’impegno, la pazienza, la fatica. E sì, anche la fatica di svolgere le loro mansioni bardati dalla testa ai piedi. Di loro non ho potuto apprezzare i lineamenti del viso, coperti tranne che sugli occhi che però dicono tutto. I nomi ho imparato a conoscerli leggendo oltre la visiera e chiedendo ad ognuno. Abbiamo passato insieme la Pasqua e hanno portato la colomba. Insomma, voglio essere testimone di una realtà - sottolinea -, per esprimere il mio apprezzamento nei confronti di un servizio pubblico ospedaliero efficace ed efficiente".

Passano i giorni, le settimane e il 18 aprile la notizia, quella in cui Giangiuseppe aveva smesso di sperare. È guarito, può lasciare il reparto e tornare a casa. "Tutto ciò che avevo in ospedale, utilizzato o meno, sarebbe rimasto lì - spiega -. Compreso la vestaglia e il mio plaid a cui mi ero affezionato. Avrei portato via solo il telefono e gli occhiali. Ma sigillati e sanificati da potere riutilizzare soltanto dopo 72 ore".

Le dimissioni non sono facili e immediate ma ciò che lo attende è il calore e l'affetto di tutti coloro che lo hanno accompagnato in questo lungo e faticoso percorso. "Tutto si svolge in locali adeguatamente sanificati. Doccia e shampoo, poi vestizione e bardatura per spostarmi in altro locale attiguo alla via d’uscita. Primi saluti con il gruppo che mi ha accompagnato e prime lacrime. All'apertura della porta attigua vengo accolto dagli altri che mi applaudono e mi fanno fotografie. Ancora commozione e sensazioni indescrivibili", finisce col dire, ancora provato, Giangiuseppe Gattuso tra i sopravvissuti a quel nemico invisibile che è stato per lui e per tanti, tantissimi altri il coronavirus.

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