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Arrestato Tumminia, nuovo capo della mafia di Belmonte: decideva anche i turni degli operai forestali

Un frame delle intercettazioni e nel riquadro Francesco Salvatore Tumminia

Colpo alla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno. Nel corso di un blitz dei carabinieri del comando provinciale di Palermo è stato arrestato Salvatore Francesco Tumminia, ritenuto il nuovo capo del clan.

Da poco tornato in libertà dopo essere stato condannato per associazione mafiosa in seguito dell’operazione Perseo (16 dicembre 2008), Tumminia aveva accentrato il potere nelle proprie mani gestendo il settore delle estorsioni, infiltrandosi nelle istituzioni della città e ponendosi come punto di riferimento per la risoluzione dei problemi cittadini.

Le indagini partirono dopo l’omicidio di Vincenzo Greco, il primo dei fatti di sangue che fecero seguito all'Operazione Cupola 2.0 del 4 dicembre 2018, e consentirono, in tempi brevi, di ricostruire parte dell’organigramma della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno individuando l’uomo che ne aveva assunto il vertice dopo l'arresto di Salvatore Sciarabba e Filippo Bisconti.

Tumminia era, dunque, punto di riferimento per i belmontesi. Alcuni esempi: la richiesta formulata da un avvocato penalista al capo famiglia di intervenire per fargli riscuotere un credito che da anni vantava nei riguardi di uno dei suoi assistiti. Ma non solo, a Tumminia ci si rivolse per la gestione di una controversia sorta tra alcuni sodali dopo una richiesta estorsiva formulata nei riguardi di un artigiano, fratello di uno degli uomini d’onore belmontesi.

Le intercettazioni fecero emergere le lamentele dell’artigiano che, dopo aver raccontato al fratello di aver ricevuto un pizzino con la pretesa estorsiva e le  minacce di morte, si rivolse al capo famiglia affinché intervenisse per evitargli il pagamento del “pizzo”. Tumminia avrebbe anche condizionato il dipartimento regionale Sviluppo Rurale e Territoriale  - ufficio servizio per il territorio di Palermo (dipendente dall’Assessorato Regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea), disponendo autonomamente i turni degli operai stagionali e organizzando a piacimento le squadre di lavoro, favorendo i dipendenti a lui vicini.

L’ingerenza era tale che nel paese si era diffusa la convinzione che l’unico modo per ottenere un contratto stagionale fosse quello di parlarne direttamente con Tumminia, il quale si faceva vanto delle minacce fatte nei confronti dei dirigenti dell’ufficio locale non collaborativi.

Fra i soggetti raggiunti dai provvedimenti restrittivi, nel corso dell'operazione ci sono anche Stefano Casella, Antonino Tumminia e Giuseppe Benigno il quale, nei giorni successivi al tentativo di omicidio nei suoi confronti, si era dato alla fuga trovando rifugio da alcuni parenti a Piubega, comune in provincia di Mantova, dove è stato rintracciato dai militari e tratto in arresto. Le indagini hanno documentato come Benigno operasse in contatto con i vertici del mandamento e della famiglia mafiosa facente capo a Salvatore Francesco Tumminia agevolando la commissione dei reati dell’associazione quali le estorsioni e agevolando i contatti e gli incontri con gli appartenenti alle varie famiglie mafiose.

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