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Mafia, condannati ex ergastolani accusati da Scarantino per via D'Amelio

Furono condannati ingiustamente all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, ma dopo essere tornati in libertà Giuseppe Urso, detto Franco, e Cosimo Vernengo, avevano ripreso la guida di Cosa nostra nel mandamento palermitano di Santa Maria di Gesù. Questa sera le condanne: 15 anni per Urso, 14 per Vernengo.

Con loro sono stati riconosciuti colpevoli anche altri tre imputati e tre sono stati assolti. Giuseppe Tinnirello ha avuto 5 anni, Giuseppe Confalone 2 anni e 8 mesi, Giovanni Acquaviva un anno (rispondeva di favoreggiamento). Scagionati Antonino Capizzi, che rispondeva di trasferimento fraudolento di valori come Giuseppe Ribaudo, e Gaetano Dell’Oglio, imputato di favoreggiamento.

La terza sezione del Tribunale di Palermo, presieduta da Fabrizio La Cascia, ha accolto in gran parte le richieste dei pm della Direzione distrettuale antimafia, Dario Scaletta e Felice De Benedittis. Tornati in libertà dopo l’inizio della revisione del loro processo, in cui erano stati condannati alla massima pena sulla base delle accuse del falso pentito Vincenzo Scarantino, Vernengo e Urso erano tornati a essere «promotori» delle attività mafiose. L’inchiesta Falco fu condotta dal Ros e dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo.

Il clan era capeggiato dal boss Salvatore Profeta, scomparso nel 2016, anche lui coinvolto nel processo per la strage Borsellino da Scarantino, che peraltro era suo cognato. Anche lui, tornato in libertà, dopo essere stato scagionato nel processo di revisione, aveva ripreso le leve del comando ed era finito nell’indagine. Non solo per mafia: era stato coinvolto infatti come mandante dell’omicidio di Mirko Sciacchitano (ottobre 2015), morendo prima del processo.

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