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Peculato, Ingroia contro i pm: "Insabbiate le mie denunce"

L'ex pm Antonio Ingroia, per il quale la procura di Palermo ieri ha chiesto 4 anni per l'accusa di peculato risalente al periodo in cui era liquidatore della Sicilia e-Servizi, si difende e accusa i pm: «Sono indignato, queste accuse sono assurde. Dopo le mie denunce, e il mio lavoro per cacciare il malaffare che per anni ha rubato decine milioni di euro per l’informatica in Sicilia, l’assurdo è che l’unica persona che viene accusata è il sottoscritto, e cioè l’unico che ha bloccato lo sperpero di denaro pubblico. Ma io credo nella giustizia, e ho fiducia che alla fine la verità verrà fuori».

La contestazione nei suoi confronti dei magistrati del capoluogo è che si sia appropriato di somme non dovute, durante il periodo in cui era liquidatore della società Sicilia e-servizi, incarico ricevuto dall’ex presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta: complessivamente di 117 mila euro, una parte nel 2013 come indennità di risultato, non dovuta al liquidatore, carica che ricopriva in quel momento, e una parte (10 mila euro) come rimborso spese forfettario.

A questi soldi si aggiungono altri 7 mila euro che furono versati per i rimborsi delle spese per gli alberghi. Secondo l’accusa era dovuto soltanto il rimborso per i viaggi e non anche per l’alloggio.

Spiega Ingroia: «Io vengo nominato liquidatore di Sicilia e-Servizi nel 2013 dall’allora presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, per mettere ordine a un carrozzone costituito da Totò Cuffaro e successivamente alimentato da Raffaele Lombardo».

Subito dopo l’insediamento, incalza Ingroi, «licenzio i mafiosi e parenti dei mafiosi che erano stati illegittimamente assunti prima di me e metto alla porta gli speculatori che per anni si erano ingrassati a spese della società, della Regione e dei siciliani. Denuncio alla Procura di Palermo e all’Olaf di Bruxelles i ladri e riduco drasticamente i costi della società, da 80-50 milioni di euro l’anno a un bilancio di 7 milioni di euro l’anno».

Ma la 'requisitoria' dell’ex pubblico ministero del processo sulla trattativa non si ferma qui: «Le mie denunce restano lettera morta, insabbiate - accusa Ingroia - dalla procura di Palermo, che invece apre poi un’indagine su di me, con due accuse, entrambe di peculato: una per l’indennità di risultato di 117 mila euro lordi erogatami nel 2014, che secondo la Procura io mi sarei autoliquidato illegittimamente; e un’altra per le spese di soggiorno, che secondo la Procura non mi erano dovute. Sulla prima accusa, la procura già ha dovuto correggere il tiro: dopo avermi contestato di aver incassato indennità di risultato non dovute per tutti gli anni, ha poi tenuto in piedi solo l’accusa per il 2014 archiviando quelle per gli anni successivi».

Gli ex colleghi gli contestano che non gli fosse dovuta la sola indennità relativa al 2013, e pagata nel 2014, in quanto nel 2013 ero stato in carica soltanto come liquidatore e non come amministratore della società (come invece negli anni successivi). «Ma invece - replica Ingroia - anche quella indennità mi spettava per il semplice fatto che, fin dall’inizio del mio incarico di liquidatore, io ho svolto di fatto anche le funzioni di amministratore unico, essendomi subito reso conto che la società era indispensabile per i servizi essenziali che alla Regione doveva prestare e quindi non poteva essere sciolta».

Quanto alle spese, «la svista della procura è ancora più grave, visto che mi si contestano rimborsi per i soggiorni a Palermo che invece erano previsti dalla legge. E infatti nulla è stato contestato al mio predecessore, che, tra l’altro, pur risiedendo a Catania e non a Roma come me, ha speso in un anno molto più di me».

E non è tutto, conclude: «Perchè si sconfina nel ridicolo quando lo stesso pm arriva a sostenere che, per rimanere indenne dalle spese di soggiorno, io avrei dovuto ogni mattina prendere l’aereo da Roma a Palermo per recarmi sul posto di lavoro, e poi a fine giornata prendere l’aereo da Palermo a Roma, con intuitivo assai maggiore aggravio per le spese della Regione. Un processo surreale nel quale mi difenderò con la forza dei fatti. E sono certo che i fatti mi daranno ragione».

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